di e con Dario D’Ambrosi
scene e costumi Raffaella Toni
produzione Teatro Patologico
All’interno di una stanza silenziosa piena di vecchi mobili un uomo è intento ad aggiustare dei piatti rotti sparsi per la scena. Tratta gli oggetti che lo circondano con cura, rivolgendosi a loro come se fossero vivi e, facendo così, li anima, tanto da confondere realtà ed immaginario. L’isolamento in cui vive è talmente forte che l’unico possibile dialogo è con sé stesso. Ecco allora che per quest’uomo, ignorato dal resto del mondo, una semplice trota può diventare il suo fulcro esistenziale.
Lo spettacolo si racchiude in una semplice equazione matematica: assenza di amore uguale morte. Il bisogno di tenerezza dell’uomo è talmente forte da scatenare il desiderio di morire per un unico, estremo gesto d’amore. Non c’è possibilità di salvezza quando si è soli e soprattutto ci si sente soli.
La pièce affronta il tema della solitudine in modo assolutamente originale, unendo ad esso la tragedia della follia, che fa da contorno a un racconto che solo nel finale si fa fantastico e metaforico: l’uomo che voleva mangiare il pesce è, infine, mangiato da lui. Il mondo folle e bizzarro dei malati di mente offre una grande opportunità: capovolgere il mondo reale.