E in quei visori vediamo l’attore-mattatore – interpretato da Elio Germano ripreso da sei obiettivi – intento in un monologo serrato che diventa presto un crescendo di slogan politici sul senso di comunità, sulla meritocrazia, sulla sicurezza e, più avanti, sulla xenofobia e la purezza della razza. Un soliloquio che parte dalla democrazia, dal valore dell’autorità e della responsabilità e termina in un proclama idealista, futurista e dichiaratamente nazista.
Con appelli appassionanti e affondi lirici deliranti, il comico trascinerà l’uditorio in un crescendo pirotecnico fino a condurlo a una terribile conseguenza finale. Una manipolazione del pubblico che porta con sé lo spettro di un pericoloso assolutismo.
Un tema importante nel quale il testo di Germano e Lagani ci trascina con intelligenza. Chi indossa il visore si ritrova nel bel mezzo della pleatea, seduto tra gli altri, a tifare per questo o quel concetto, a partecipare attivamente al dibattito politico, in un gioco metateatrale e al contempo metacinematografico.