Visite – Teatro dei Gordi: la delicatezza dell’abitare
di Federico Demitry
Visite della compagnia Teatro dei Gordi è uno spettacolo disarmante, generoso, delicato. Ci spalanca le porte della camera da letto di una coppia, con cui interagiscono in totale sei personaggi.
Il letto matrimoniale al centro della scena è il simbolo dell’intimità dei coniugi, attraversata, o meglio visitata, dalla quotidianità degli oggetti, delle situazioni, delle relazioni umane. Gli attori, infatti, si alternano e si scambiano a ritmo incalzante, dettato dal sapiente uso delle musiche e delle luci, ricostruendo un carillon di situazioni, o forse, di ricordi, fino a quando l’udito dello spettatore viene graffiato da un rumore trascinato. Cosa accade? Lo spazio pieno della camera viene smantellato pezzo per pezzo e lascia il posto a un nuovo allestimento, in cui gli oggetti di scena si dispongono attorno a un vuoto, abitato non più da volti, ma da maschere anziane. Anche il ritmo cambia, si spegne, e il pubblico riconosce nell’immobilità del tempo una casa di riposo, tutto ciò fa pensare di aver assistito ad un lungo flashback. Qui il significato della parola “visite” si apre a nuove possibilità, lasciando allo spettatore l’opportunità di leggere autonomamente quanto accaduto e permettendogli di esplorare la propria linea interpretativa. Le visite… degli amici? Dei ricordi? Degli sconosciuti? Dei parenti nell’ospizio? Della morte?
La narrazione di quanto descritto procede con una dovizia di particolari che rivela non solo una regia meticolosa, ma anche l’affiatamento della compagnia. I personaggi in scena non hanno bisogno di parole (lo spettacolo è quasi del tutto muto) per significare i loro legami, le situazioni, le loro emozioni. Tutto è affidato al corpo, al ritmo, all’interazione con gli oggetti di scena. In questo gli attori danno grande prova di talento, riuscendo ad essere espressivi senza deformarsi, mantenendo anzi una naturalezza e un realismo commoventi, anche quando, nella seconda parte dello spettacolo, la mimica facciale si cementifica nella maschera.
L’utilizzo delle maschere, estremamente suggestive, è infatti uno dei tratti stilistici distintivi di questa compagnia. Tuttavia, questo elemento scenico non è ciò che colpisce di più in Visite, spettacolo elaborato a partire dal mito ovidiano di Filemone e Bauci, la coppia di ospiti che chiese a Zeus di non separarsi mai. Colpisce invece uno sguardo dolce sul mondo, sui nostri oggetti, sui nostri legami, sui nostri gesti, sulle nostre quattro o cinque cose; una scena essenziale, che non ha bisogno di sembrare affollata o frenetica per restituire il senso del nostro montare, smontare, modificare, attraversare, abitare lo spazio. Significativa è l’assenza di parole di cui non si sente nessun bisogno, per veicolare al di fuori di noi l’intimo di ciò che abbiamo dentro. Non è forse questo ciò che facciamo nelle nostre case, nelle nostre camere da letto? Riempire, ordinare, dare forma, costruire uno spazio che ci somigli? E quando visitiamo e siamo visitati, non si sposta qualcosa negli oggetti del nostro spazio di dentro, e in quello di fuori? Non è questo ciò che fanno gli attori in scena quando abitano la camera altrui, l’intimità altrui? Proprio per questo Visite è uno spettacolo generoso: ci riporta alla terrestrità ricca dello stare-in, da soli, a turno, insieme, ampliandone virtualmente gli orizzonti. Ciò che il Teatro dei Gordi ci mostra è delicato perché ha il fascino delle cose quotidiane, piccole e preziose, le “cose che hanno le lacrime”; perché ha il respiro dei nostri respiri. E questo è disarmante.