di Edoardo Erba
regia Michele Mangini
con Marina Rocco, Gabriella Franchini, Alberto Onofrietti, Giovanni Battista Storti e Irene Vetere
e in video Angelo Curti, Adriano Falivene e Marco Montecatino
scene e costumi Michele Iodice
luci Pasquale Mari
video Alessandro Papa
sound effects Lorenzo Pasquotti, Federico Casiraghi, Giovanni Sirtori
assistente alla regia Luca De Lorenzo
assistente scene e costumi Giorgia Lauro
produzione Teatro Franco Parenti / Goldenart
Si ringrazia SO-LE Studio per i gioielli di scena
Il drammaturgo Edoardo Erba e il giovane regista Michele Mangini, nel tentativo di rispondere a questa domanda, ci trasportano in un futuro distopico.
Siamo nel 2120 e l’umanità è divisa in due classi. Da una parte c’è la moltitudine che vive ammassata nelle poche aree abitabili di un pianeta ormai desertificato. Dall’altra i membri della classe agiata, gli Aumentati, con DNA ottimizzato, fisico perfetto, cervello super performante, che perseguono un ideale di bellezza e di bontà esclusivamente riservato alla loro casta ma, difettando di esperienze vive, ricorrono al trapianto di memorie altrui. Per denaro e per sottrarsi ai ricordi di un passato doloroso, la protagonista Cruz ha deciso di privarsi della sua memoria. I suoi ricordi svaniscono, ma quella sensazione di vuoto, rabbia, solitudine, può davvero scomparire?
CRUZ: Guardo gli altri, e chi vedo? Umani che si fingono robot, Aumentati che comprano gli organi di altri umani. Che tolgono loro la memoria. (…) Come siamo arrivati fin qui? Come possiamo essere stati così stupidi, visto che eravamo in tanti?
Nei panni di Cruz, torna sul palco del Parenti Marina Rocco, già attrice de Gli innamorati, Ondine e Casa di bambola, diretti da Andrée Ruth Shammah e di Amleto2, La sirenetta e Don Giovanni di Filippo Timi. Al cinema ha recitato in Sanguepazzo di Marco Tullio Giordana, La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, Nessuno si salva da solo di Sergio Castellitto, Notti magiche di Virzì, per citarne alcuni.
Il testo è di Edoardo Erba, drammaturgo tra i più noti e affermati in Italia. Nelle sue trame si intrecciano molteplici sfumature, dalla leggerezza della commedia alla suspence del giallo criminale. Maratona di New York (1993) è il suo lavoro teatrale più conosciuto, tradotto in diciassette lingue e rappresentato in tutto il mondo.
C’è arte contemporanea sul palco: Michele Iodice
La scena è una installazione dell’artista napoletano Michele Iodice.
“L’utilizzo di materiali insoliti nella scenografia vuole rendere lo spazio scenico il più astratto possibile. La texture dell’installazione è composta infatti da serbatoi in acciaio agganciati tra loro. Il risultato è una parete modulata di elementi creati in catena di montaggio. Il singolo serbatoio appare come una delle pieghe della corteccia cerebrale, metafora dell’appiattimento della diversità e della frammentazione sociale. Infatti, in questo futuro distopico in cui certi valori sono, forse, andati perduti, l’unicità di ogni essere umano, l’individuo, ha valore solo in un’ottica di profitto economico. L’utilizzo dei serbatoi di acciaio però non ha solo una funzione metaforica, funge anche da parete proiettiva di immagini, che appaiono distorte ed evanescenti, in modo tale da creare nello spettatore un senso di disorientamento e di velata solitudine. La luce è protagonista ed è elemento principe della scenografia, accarezza la materia riflettente regolando l’intensità, accentuandola e deformandola.
I costumi di scena sono uniformi che fungono da seconda pelle, riflettono la condizione omologata degli interpreti.
L’unica possibilità di diversificazione avviene attraverso i singoli indumenti riciclati: una casualità estetica non coordinata che crea un’apparente identità.”