di Hanoch Levin
uno spettacolo di Andrée Ruth Shammah
con Carlo Cecchi
Fulvia Carotenuto
Massimo Loreto
collaborazione alle scene Gianmaurizio Fercioni
collaborazione alle luci Gigi Saccomandi
costumi Simona Dondoni
musiche Michele Tadini
produzione Teatro Franco Parenti
Il teatro di Levin è irriverente: la poesia si nasconde dentro le situazioni più imbarazzanti, i suoi testi sono una commistione di spiritualità nobile e cruda realtà; dalla critica alla cultura borghese ai contrasti tra carne e spirito, “arte e culo”, perché il meschino sogna di stare sotto il riflesso della luce della felicità altrui. Così avviene anche per Il lavoro di vivere, una storia d’amore fra due persone di mezza età, in cui l’amore appare a barlumi folgoranti, in mezzo a un mare di insulti, parole durissime e rimpianti. Lo spettatore ride di gusto, senza accorgersi che sta ridendo di se stesso.
Andrée Ruth Shammah e Carlo Cecchi ci regalano il teatro che vorremmo. E ci fanno scoprire un autore straordinario.
– Sara Chiappori, la Repubblica
Una regia autorevole, fotograficamente perfetta nel dettaglio e cinematograficamente dinamica nell’insieme (…) Andrée Ruth Shammah offre un esempio apprezzabile di come il teatro di regia possa esistere nel suo perfezionismo formale che mira allo stupore della scatola magica […] Per questo nascono i Barba, i Grotowski, il Living, per ricercare il rito che fu teatro e, in esso, vita. In questa dimensione di angoscia e buio il testo di Levin si segnala per una forza drammatica notevole, per una disperata necessità di compassione […] Quando il teatro di regia lo è davvero, il regista diventa autore, nel senso che completa o migliora l’opera dell’autore […] drammaticità dura, tesa, fredda e cocente. Ci guadagna il teatro, nel senso profondo.
– Roberto Mussapi, Avvenire
La regia, curata ed elegante, si avvale di un cast di lusso: Carlo Cecchi è Carlo Cecchi; superlativo, cinico, muriatico […] Infine, una parte in commedia spetta anche al pubblico, arroccato a pochi centimetri dalla scena: è la platea delle anime defunte che, quotidianamente, assiste alla recita dei vivi – il cui lavoro di vivere altro non è che un allenamento a morire.
– Camilla Tagliabue, Il Fatto Quotidiano