Archivio / Teatro

Colline come elefanti bianchi

Archivio / Teatro

Colline come elefanti bianchi

Piccola perla della letteratura del Novecento, il racconto breve di Hemingway declina il tema dell'incomunicabilità in un dialogo sospeso. Il testo cela molto più di quanto disvela, come un grande iceberg di cui scorgiamo solo la punta.

Il grande scrittore americano infatti esplicita solo una parte molto piccola della storia che sta raccontando, lasciando sommersi i nuclei tematici profondi, lavorando secondo quello che lui stesso definisce «il principio dell’iceberg»: «i sette ottavi di ogni parte visibile sono sempre sommersi, – dice in un’intervista a George Plimpton – Tutto quel che conosco è materiale che posso eliminare, lasciare sott’acqua, così il mio iceberg sarà sempre solido. L’importante è quel che non si vede. Ma se uno scrittore omette qualcosa perché ne è all’oscuro, allora le lacune si noteranno».

Un uomo e una donna alla stazione, in attesa di un treno, devono decidere se tenere o no il figlio di cui lei è incinta. Sulla questione hanno punti di vista divergenti e la tensione che si genera tra loro è palpabile. Tutto resta suggerito, accennato e non detto: il rapporto tra i due, ciò che li ha tenuti insieme fino a quel momento e il futuro che li attende una volta partiti.

Accostarsi da un punto di vista drammaturgico a un racconto criptico e minimale come questo, rappresenta una sfida narrativa ed espressiva, artistica e filosofica, che verte sul valore del silenzio e sul significato dell’ellissi.