di Pauline Peyrade
regia e spazio Licia Lanera
con Danilo Giuva e Ermelinda Nasuto
traduzione Paolo Bellomo
luci Vincent Longuemare
sound design Francesco Curci
costumi Angela Tomasicchio
aiuto regia Nina Martorana
organizzazione Silvia Milani
produzione Compagnia Licia Lanera
in coproduzione con POLIS Teatro Festival
in collaborazione con Angelo Mai
si ringrazia E Production
VINCITORE DI DUE PREMI UBU 2022:
Miglior regia, Miglior testo straniero/scrittura drammaturgica (messi in scena da compagnie o artisti italiani)
Il testo lucido e imparziale di Pauline Peyrade, enfant prodige della drammaturgia francese, ispirato dalla cronaca racconta di una ragazzina, poco più che bambina, abusata da un amico di famiglia. Il tribunale francese l’ha riconosciuta consenziente. Diventata donna, decide di farsi giustizia da sola.
In scena due piani temporali si alternano e la tensione trova il suo culmine nel confronto tra le due differenti violenze in un continuo ribaltamento dei ruoli di vittima e carnefice.
Con un linguaggio diretto e forte, i due attori si fanno ora adolescenti, ora adulti ed evocano, attraverso la parola e pochi elementi scenici, la dinamica di una storia atroce in cui le tinte si fanno sempre più pulp. E gli spettatori si trovano a spiare questa ruota infernale, senza vincitori, ma specchio di una società che ha fallito clamorosamente.
Lo spettatore si sente intrappolato sin dai primi momenti in questa dinamica di racconto cruda e astratta, ed è costretto a rimontare nella propria testa i vari elementi, per rendersi conto a pieno non soltanto di quanto accade, ma dei livelli più intimi e oscuri di quei profili umani. Il tutto reso con forza singolare da Danilo Giuva ed Ermelinda Nasuto, che mantengono il loro accento pugliese, facendo rimbalzare così quella scrittura geograficamente lontana nel grigiore di certa nostra provincia, capaci di tessere una minutissima trama di sospensioni impercettibili, di sguardi millimetrici, di silenzi acuminati, rendendo palpabile un’usurata quotidianità, stanca e senza prospettive, nonostante i protagonisti conoscano il mondo da così poco tempo. Si svela così la sofferenza di quella stagione della vita in cui ogni piccolo smarrimento può, appunto, precipitare in tragedia e in cui si inizia a individuare la radice più profonda del dolore.
– Antonio Audino, Domenica del Sole 24 Ore
Per raggiungere quel grado di immersione e compromissione, l’attore e l’attrice non hanno avuto scampo, hanno vissuto insieme, hanno condiviso il testo e lo hanno incorporato, sono stati incredibilmente vicini e affettuosi per poi farsi schifo a vicenda. E per questo sono stati interpreti dalla sensibilità pratica, quella che diventa strumento tecnico, dosata con rigore, cervello e cuore, un esperimento di memoria sia del fatto in sé che dei corpi. Non hanno assolto un compito, non hanno imparato la parte, ma hanno fatto esperienza della mostruosità, per questo il loro è un gesto attorale incandescente, né morboso, né pornografico.
– Lucia Medri, Teatro e Critica
Un testo che sa essere preciso, realistico e al tempo stesso, pieno di non detti, un puzzle rotto che si costruisce pian piano […] La scrittura drammaturgica di Peyrade decostruisce e mischia i tasselli della vicenda, usa prolessi e analessi con spudorata disinvoltura e ciò permette non solo di giocare con l’indeterminatezza e la sospensione del tempo, ma anche con un modello di narrazione che si costruisce pian piano, rifacendo ordine nel racconto agito in scena. […] Tutto questo è diretto da Licia Lanera con grande precisione e senso di servizio al testo e agli attori, un senso di servizio che si trasforma in senso di testimonianza e che conquista calorosi e commossi applausi.
– Nicola Arrigoni, Sipario.it
La scrittura della Peyrade sollecita interrogativi, fomenta ambiguità che Lanera sembra amplificare nell’adattamento che elimina il doppio tempo della narrazione e rende il testo un unico flusso di parole e sentimenti creando uno spaesamento perturbante. Il suo è un lavoro registico di estremo rigore e nitore, nello stesso tempo ad alto contenuto emozionale ma stranamente raggelante, in cui sembrano sbiadirsi le figure di carnefice e vittima per lasciare spazio a due fragili simboli di un presente che si tinge di disumanità. […] i due attori sanno rendere i loro personaggi con una distanza quasi critica ma nello stesso tempo non rinunciando alla forza dell’emozione. Una bella prova la loro che si somma all’accuratezza di tutta la rappresentazione – magnifica la ruota da parco giochi in miniatura – in cui spicca l’ipnotica attrazione della base musicale di Francesco Curci.
– Nicola Viesti, Corriere del Mezzogiorno