di Giovanni Testori
regia Andrée Ruth Shammah
con Franco Parenti, Alain Corot, Luisa Rossi, Giampiero Fortebraccio, Gianni Mantesi, Mario Bussolino, Valeria d’Obici, Claudio Ceroni
scene e costumi Gianmaurizio Fercioni
musiche Fiorenzo Carpi
Lo spettacolo ha debuttato il 16 Gennaio 1973, in occasione dell’apertura del Salone Pier Lombardo. Dal 29 Gennaio 1973 è iniziata una tournée in Lombardia, per poi ritornare a Milano dal 7 al 18 Marzo 1973. Durante la stagione successiva viene ripreso in sede dal 22 Ottobre all’11 Novembre (Luisa Rossi sostituita da Maria Monti).
A Milano abbiamo un nuovo teatro; e a differenza di quanto è avvenuto negli ultimi anni, questa volta è un cinematografo che è stato trasformato in teatro. Aprire un nuovo teatro con una novità assoluta italiana, una novità poi non facilmente commestibile quale è l’Ambleto di Giovanni Testori, è un significativo biglietto da visita. L’intelligente Andrée Ruth Shammah, teorizzando la regia come rinuncia, si è mossa nella direzione di allestire un non-spettacolo completamente fruibile, a patto di acquistare piena consapevolezza che tutto ciò è voluto. Operazione tesa, credo, a portare in primo piano la “parola”, il particolare linguaggio adottato da Testori.
– Carlo Fontana – Avanti, 18 gennaio 1973
Una compagnia di scarrozzanti che recita un Ambleto. Non teatro nel teatro, ma rappresentazione di vita come abitudine alla vita rappresentata. La rappresentazione avviene in chissà quale luogo, uno qualunque che si presti alla bisogna, avviene chissà quando, un qualsiasi momento dell’esistenza. A disposizione costumi ed oggetti di scena usuali forniti dall’artigiano o dal rigattiere, oggetti e costumi sui quali la polvere e il logorarsi hanno impresso e tempo e storia del loro uso, del loro farsi espressivo.
Nel momento del teatro gestuale, teatro della parola. Parola che assume e riassume in sé l’avvenimento del gesto. Una memoria (un’ispirazione) la parola di Carlo Porta, nella voce di Franco Parenti in abito comune e con barba, la realtà fantastico-poetica della Ninetta del Verzee, l’urlo, lo strazio, l’abbandono, il gesto osceno, la rivolta, il ritmo, la fonia. Lingua oscura, dura, compatta, costruita, ma immediato strumento di comunicazione quando sentimenti e passioni primordiali e di sempre la violentano e la rimodellano.
La tragedia (la catastrofe): un fatto di cronaca brutale, un momento di follia, la sconvolta distruzione di una famiglia contadina che si fa metafora della sublime distruzione di un mondo istituito sul potere, sull’usurpazione, sulla barbarica sopraffazione della proprietà. Pollerie, vacche, cascine, poderi: simboli degradati ma primigeni della stravolgente brama di possedere e di essere nelle cose che è componente (inalienabile?) dell’umano.
Lo spettacolo come scelta: scelta di semplicità, di essenzialità. La regia come rinuncia. Rinuncia all’invenzione esteriore, all’ornamento, alla retorica della teatralità calata dall’alto, come compiacimento di una fantasia fuori dalle cose, che le divora. Uno spettacolo scarno, come la morte e la paura, che si incendia della forza immediata dei fatti, e delle parole che divengono fatti. Violenza del testo sul teatro, e non violenza del teatro sul testo (oseremo mai bruciare questi mondi del cartone?). Paura della rinuncia, ma recupero creativo, finalmente, dell’uomo e della sua immediatezza.
La sparizione dello spettro. Una nuova coscienza morale, o una diversa visione antropologica? L’eclissi di una moralità ultraterrena, lo svelarsi nuovi spazi per la responsabilità dell’uomo. Lo spettro è con te perché è in te, se non lo sai trovare, catturare, far emergere dagli abissi della coscienza, e la condanna all’oscurità. Corsa rovinosa verso una risposta che é morte ma che è soprattutto vita, poiché è una morte che illumina la vita.
– Andrée Ruth Shammah
di Giovanni Testori
regia Andrée Ruth Shammah
con Franco Parenti, Alain Corot, Maria Monti, Giampiero Fortebraccio, Gianni Mantesi, Flavio Bonacci, Valeria D’Obici, Daniele Pagani
scene e costumi Gianmaurizio Fercioni
musiche Fiorenzo Carpi