di Frank Wedekind
regia Andrée Ruth Shammah
con Franco Parenti, Enzo Consoli, Valeria d’Obici, Raffaella Azim, Alessandro Quasimodo, Carlo Puri, Giorgio Melazzi, Sonia Gessner, Paola Sangro, Alberto degli Uomini, Riccardo Peroni, Giovanni Battezzato
scene e costumi Gianmaurizio Fercioni
Note di regia
Perché Wedekind al Salone Pier Lombardo?
Il teatro non si racconta, ma i motivi culturali che intorno ad esso si muovono, le riflessioni, le idee, i temi che gli sono sottesi, quelli sì, si possono e si devono spiegare.
Allora basta leggere le note biografiche di Wedekind per figurarsi che tipo d’intellettuale fosse quest’uomo e capire la natura dell’interesse che ci chiama verso di lui. […] Segretario di circo – responsabile pubblicitario di una fabbrica di dadi per brodo, scrittore satirico, autore e cantante di cabaret, collaboratore di un mecenate/mercante d’arte noto trafficante di quadri falsi – oltre che segretario, drammaturgo e attore di compagnie teatrali, Wedekind porta per primo nella cultura europea un blocco di temi insoliti, legati al rapporto dell’intellettuale con sé stesso, con il proprio destino individuale e con la società, in tutti i suoi aspetti problematici di lotta per la vita, di funzione storica, di collocazione ideologica, di comportamento sociale, ecc.
L’occasione, l’argomento che assume a parametro di queste sue analisi dell’uomo e della società del suo tempo, è l’istinto sessuale. Nemico di tutti i viscidi puritani, delle ipocrisie dei piccolo-borghesi che nascondono i loro istinti sotto i tappeti come fanno le serve svogliate con la spazzatura, Wedekind li fa saltare sul terreno minato dell’erotismo. E di lì parte per raccontarci la sua visione del mondo. Il risultato è un “pessimismo della ragione” che non lascia scampo e la formulazione di un giudizio inesorabilmente negativo. […]
Il libero sviluppo della natura di ogni uomo, l’emancipazione femminile, gli sforzi per riformare la vita, i legami sentimentali, le idee del suo tempo, tutto appare in quest’opera destinato al fallimento per propria intima essenza. Di ogni cosa provvede a far giustizia la realtà. Un’operazione teatrale, quindi, che non è la “dissacrazione” né la “demistificazione” a cui si fa tanto spesso ricorso, ma un modo più responsabile e radicale di affrontare al cuore i problemi e le contraddizioni dell’uomo moderno, con un atteggiamento e uno spirito che non consentono illusioni. Se in Testori (L’Ambleto e Il Macbetto) c’interessa la rabbia e il furore di chi, davanti a questa realtà, vorrebbe che fosse diversa – se nelle grandi tradizioni comiche (Molière, l’Ottocento francese, Nestroy) c’interessa la risata che si apre sulla tragedia, la battuta che tutto distrugge trovando scampo solo nell’intelligenza, con Il gigante nano l’orrore e l’ilarità divengono indivisibili componenti dell’analisi più lucida.
– Andrée Ruth Shammah
Franco Parenti ci ha dato un Hetmann di straordinaria penetrazione. Disfatto nel fisico, come richiesto dal personaggio, lucido, straziante e burattinesco insieme.
– Tino Dalla Valle, Il Resto del Carlino