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Edipus

Note di regia

Dialoghetto tra propaganda e regia con Andrée Ruth Shammah
– colto a volo e registrato in un corridoio di teatro –

Non vuoi scrivere le note di regia da pubblicare sul programma?
Uno spettacolo dovrebbe parlare da solo.

Ma se non lo scrivi poi dicono che non c’è regia.
Dicano pure, se per loro è niente fare da specchio a un attore, metterlo a suo agio con il testo, aiutarlo a venire a capo di tutte quelle parole, passare attraverso il fuoco d’artificio letterario per arrivare al teatro, trovare un movimento interno, fare la “drammaturgia”…

Fammi capire: non c’è un testo finito e pubblicato?
Sì, ma è un agglomerato di parole e di sentimenti: bisognava far venire a galla i più importanti, i più autentici, nel modo più rappresentabile – un lavoro di taglio e d’incastro. Una chiarezza d’intenzioni. A un certo punto abbiamo sentito il bisogno di sovrapporre una storia, di dare una trama al comportamento dello scarrozzante.

[…] Ma allora tu vuoi demistificare il ruolo del regista. Buttare via il momento creativo è da frustrati, la volpe e l’uva…
Diciamo allora cosa mi resta dentro di questo lavoro. Mediare tra due nature e due mondi completamente diversi come Testori e Parenti. Conoscere a fondo un autore, anche nei suoi segreti e nei suoi eccessi; abbandonarsi alla sua generosità, rispettare il suo universo e la sua libertà, sapendo quando lui sa rispettare quella degli altri, riconoscere l’autenticità delle sue ossessioni, vedendo quanto le paga… E contemporaneamente entrare dentro un attore, nelle sue idee, nei suoi pudori. Non quindi dargli la battuta, suggerirgli l’intenzione, ma essere il sue occhio veridico. Un monologo in palcoscenico esiste se riesce a far apparire straordinario l’attore che lo recita. Aiutarlo allora a essere più bravo di quanto sia mai stato.

Lo spettacolo di Andrée Ruth Shammah, Franco Parenti e Gianmaurizio Fercioni è un esempio vero e raro di lavoro drammaturgico collettivo di riscrittura, di teatralizzazione sulla pratica della scena. Sul miserabile boccascena bianco sporco, dove schiude le sue prospettive il teatrino degli scarrozzanti coi suoi scenari dipinti e i pochi scenari appesi (ma tutta la sala ne è un prolungamento vitale), Franco Parenti crea un personaggio indimenticabile, sembra inventarsi su ogni battuta un testo in realtà faticosamente calcolato, esce e rientra nella pelle propria e dei diversi manichini con un’interpretazione distaccata e partecipe di una lucidità saggistica.

– Franco Quadri, Panorama