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Peter Pan

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Peter Pan

Note di regia
Tappe di un lavoro

Dopo lo spazio dedicato alla leggenda con Cavalieri di Re Arthur e dopo un lavoro intorno e attraverso il mito, per incontrare la regina delle amazzoni e cercare Pentesilea dentro di me, l’appuntamento con la favola si era fatto inevitabile.

Con Peter Pan si chiudeva nel modo più giusto un ciclo iniziato con lo sventramento del Pier Lombardo trasformato in un luogo propizio per far rivivere nell’immaginazione alcune storie presenti, pressanti, dentro di noi.

Peter Pan, il bambino che non vuole crescere, l’adulto che vuole rimanere adolescente, che non riesce ad accettare le regole della società, che vive la responsabilità come peso, la perdita dell’infanzia come lutto, che sfugge la realtà e si rifugia nella finzione…
Sono rimasta colpita dall’armonia e dalla completezza di questo testo teatrale di Barrie.

La scelta è stata quella di operare solo piccolissimi aggiustamenti agli spunti presenti nei romanzi di Barrie, evitando di far dire a questo testo, in modo troppo esplicito, tutto ciò che dice nelle sue pieghe, celandolo con grazia.
Partendo dall’isola come sogno-ricordo di Wendy, la scenografia doveva prevedere la presenza del mondo dei Darling durante l’avventura nella Terradimai. La scelta di usare una striscia in proscenio con presenze non ingombranti fu abbastanza naturale. Più complessa e difficile fu la chiave per afferrare il mondo di Peter e dei “perduti”. Il desiderio molto forte per me, ma anche per Fercioni, era quello di trovare uno spazio vuoto, una scatola magica. Il blu fu presto deciso: la notte, il sogno – effrazione, il cielo, ma nel vuoto la fantasia diventava magia. E invece ciò che mi stava a cuore era la fantasia come uso diverso della realtà. Ecco, se Pan era lo scatenamento della natura dentro, fuori il paesaggio doveva essere in un qualsiasi luogo dietro la casa dei Darling, i bambini abbandonati diventavano “i perduti” della società, ogni personaggio presente sull’isola era una possibilità dell’animo umano e anche la liberta di poter essere un pirata o un coccodrillo a piacere. […]

Non si può non riconoscere che l’allestimento della Shammah è a tratti ironico, a tratti incantato, in una sorta di eco del Peer Gynt, a tratti teatralmente molto suggestivo, sopratutto in qualche momento di sospensione narrativa che lascia respirare lo spazio allestito da Gianmaurizio Fercioni.

– Ugo Volli, la Repubblica


Questo è lo spettacolo-invenzione della regista Ruth Shammah, usa a sconvolgere sala e palcoscenico pur di far vivere teatralmente le proprie arditissime fantasie. (…) Successo e simpatia, tanti applausi per tutti, in primis Ruth, vero anfitrione di spensieratezza e di teatro autentico.

– Roberto Zago, Teatro


Uno spettacolo originale, divertente, poetico, nuovo, tenero, allegro, fantasioso, con un’impronta registica di classe e una brillante interpretazione d’insieme.

– Gabriella Aguzzi – Lodisette