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Cartellone / Teatro

La vita è un canyon

Archivio / Teatro

La vita è un canyon

Note d’autore di Augusto Bianchi Rizzi

Quando una regista come Andrée Ruth Shammah decide di mettere in scena una tua commedia, quando un’attrice come Anna Galiena vola da Parigi per rivendicare il ruolo della protagonista (“Questo ruolo è mio”), quando un’artista come Sergio Bini (in arte Bustric) acconsente, per la prima volta nella sua carriera, a calarsi nei panni di un personaggio, quando due attori come Michele De Marchi e Gabriella Franchini accettano di salire a bordo dell’allestimento, quando un personaggio come Corrado Tedeschi si dichiara disposto a interpretare un piccolo ruolo in sede di partecipazione straordinaria, quando un teatro come il Franco Parenti perviene alla determinazione di produrre lo spettacolo, quando una rassegna estiva come il festival della Versialiana seleziona proprio la tua opera, allora – quando tutto ciò accade – tu devi riconoscere che un sogno si è realizzato.
Si, l’allestimento di La vita è un canyon è la realizzazione di un sogno.
Per me è come essere giunto al termine di una lunga corsa iniziata quando – ragazzino – ho provato per la prima volta la stupefatta emozione di assistere al Piccolo Teatro di Milano, a Il dito nell’occhio di Fo, Parenti e Durano e alla prima messinscena di L’opera da tre soldi di Bertol Brecht e Kurt Weill, con la regia di Strehler (con Buazzelli, Carraro, Milly e Giusi Raspani Dandolo); lì, in quei magici momenti, è iniziata la mia lunga corsa, ha preso corpo il mio straordinario Desiderio.
E il Desiderio – si sa – si occulta, si acquatta, s’imbosca nelle pieghe dell’anima ma non demorde, rispunta – travestito magari – ma rispunta a ogni appuntamento della vita, appena c’è uno spiraglio, un pertugio di possibilità, di speranza di realizzazione.
E così dopo anni spesi in altre esperienze (lavorative e non), il Desiderio si è rifatto strada ed ha sfondato, una volta per tutte, la custodia profonda in cui l’avevo costretto.
È nato così L’ultimo dei Mohicani (andato in scena nel teatro di Porta Romana nel 1985 e al Teatro Franco Parenti nel 1991), è nato così il romanzo Figlio unico di mia madre vedova (ed. Tranchida, 1993) – finalista al Premio Calvino – e nasce così oggi La vita è un canyon, storia divertita di una donna libera, bella e vincente, figlia diretta di quella generazione che ha creduto in nuove regole di vita – magnifiche e deliranti – che il grigiore degli anni Ottanta e Novanta non è riuscito a spezzare via del tutto.
È proprio così Margherita?
Forse no, ma certo è una donna che la vita la interpreta da protagonista, non la subisce (o meglio non la subisce più). “Il piacere della libertà, la libertà del piacere” questo è il suo motto, la sua bandiera.
Per rimanere fedele a questa parola d’ordine, mente, rischia, inganna, gioca. Le piace zigzagare fra rapporti altrui, smontare sistemi d’allarme, masticare in fretta bocconi rubati. Il sesso per lei è un linguaggio, un modo di comunicare, di gioire di comunicare e di gioire senza i troppi affanni che l’amore quasi sempre porta con sé. Fino a quando?
L’aiuteranno a trovare la risposta  – provvisoria, precaria – un uomo innamorato (Marcello), un’amica d’infanzia (Lucia), un amante appassionato (Giulio), ma sopratutto Raffa, un omosessuale un po’ bibliotecario e un po’ mago, che crede nella poetica dei buoni sentimenti.
Il resto è tutto da vedere.

Grazie Andrée, grazie Anna, grazie a tutti.

Bizzarra assai questa commedia di Augusto Bianchi Rizzi, che Andrée Ruth Shammah ha impaginato in un leggiadro e originale “interno” e impostato su toni leggeri e giocondi, spremendovi un’allegra improbabilità ed una amabilissima arguzia.

– Odoardo Bertani, Avvenire


Una commedia da non perdere. […] Si gode in questo spettacolo una scrittura densa e spigliata, appena segnata da qualche ingenuità: e poi una regia di mano leggera e un buon lavoro degli attori.

– Ugo Volli, Grazia


Messa in scena con una regia spigliata e ricca di ritmo da Andrée Ruth Shammah, <i>La vita è un canyon</i> è uno spettacolo calibrato e divertente, che non vuole essere altro di quello che è.

– Maria Grazia Gregori, L’Unità