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Il barbiere di Siviglia

ovvero la precauzione inutile

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Il barbiere di Siviglia

ovvero la precauzione inutile

Semplicità e libertà. Le ragioni di un successo

Prima o poi gli artisti si cimentano con il teatro lirico. Impresa ardua ma irrinunciabile, sembra di capire. Impresa che non sempre è sinonimo di successo. Nel caso di Andrée Ruth Shammah, che si è misurata con il Falstaff di Salieri, la Checchina di Piccinni e il Barbiere di Siviglia di Paisiello, la critica di settore non si è risparmiata in elogi, indirizzati alla fantasiosa inventiva regista dell’allieva prediletta di Franco Parenti. La Shammah ha saputo visualizzare magistralmente uno modo alternativo per “sentire” la musica.

L’ambientazione è uno spazio luminoso e semplice. I costumi essenziali e senza tempo. I personaggi disegnati per evocare un’epoca. Quella di Paisiello, dove la gioia di vivere e la grazia deduttiva si rincorrono in un perenne gioco tra finzione e realtà. Un gioco irresistibile e divertente che narra gli stratagemmi architettati dal giovane conte di Almaviva con l’astuto Figaro per strappare la sua amata Rosina alle mire del vecchio e geloso Don Bartolo. Come da perfetta opera buffa di fine Settecento.

L’intuizione vincente della Shammah al ritmo della scenografia ideata da Emilio Tadini, l’artista che creava al suono della musica. E come sul Tadini maestro del razionale e dell’irrazionale, del reale e dell’irreale, dello scherzo e della consapevolezza, la Shammah accosta gli opposti in una essenzialità visiva che correla arie e ariette, cavatine e recitati. Il dramma giocoso di Paisiello, ossimoro vivente nella contrapposizione della vicenda umana, è di fatto accompagnato da piccoli dettagli che la regista inserisce nella scena per completare un’opera. Un’opera d’arte.
Personaggi. Muti, vestiti alla maniera dell’eclettico Tadini, portano di volta in volta oggetti differenti per dare identità alla parola e al canto. Ora una sedia colorata, ora sacchetti zeppi di soldi. Perché, pur trattando di amore, la storia tra Rosina e il conte di Almaviva si sviluppa anche al ritmo dei denari sonanti. Sul pentagramma della scena le “note” dei colori sottendono le varianti interpretative, le evoluzioni mimiche e vocali, che sfilano sul fondo di una casa pencolante. Figuranti ininfluenti, in grigio, gli amanti in rosso. E poi un fluire di visi mascherati. O visi che coprono le maschere. Come avviene da sempre sul palcoscenico della vita?
Sul palco, ben definiti nell’alternarsi del bianco e nero, gli orchestrali in frac e scarpe da tennis, destinati a suonare lo spartito in uno scacchiere musicale. Tutto del vissuto artistico della Shammah si ritrova diluito armoniosamente in questo allestimento.
Elegante nella sua semplicità, vitale nella sua leggerezza, concreto nella sua libertà inventiva.
La ragione del successo di questo Barbiere?
Semplicità e libertà. Per non invecchiare, creando l’arte.

– Nella Lovero

I personaggi sono mossi con rifinita gestualità dalla regia di Andrée Ruth Shammah, che si fida delle qualità evocative e plastiche dei brevi numeri musicali tratteggiando dei tipi un po’ lunari, in linea con la fisicità da pierrot dei costumi. […] si respira sempre il profumo da commedia settecentesca evocata con moderno gusto neoclassico. E ci si diverte comunque.

– Angelo Foletto, la Repubblica


La revisione dell’allestimento 1998 di Andrée Ruth Shammah, ha gratificato in modo scaltro l’ampiezza degli Arcimboldi creando una continuità musicale e gestuale naturale tra l’orchestra disposta a semicerchio e il lunare teatrino inventato a suo tempo da Emilio Tadini.

– Angelo Foletto, la Repubblica