di Carlo Goldoni
regia Andrée Ruth Shammah
scene Alessandro Camera
costumi Chiara Boni
luci Marcello Jazzetti
con Gianrico Tedeschi e Marianella Laszlo, Tommaso Banfi, Marta Comerio, Stefania Felicioli, Silvana Gasparini, Alessandro Quattro, Corrado Tedeschi, Virgilio Zernitz
Lo spettacolo ha debutatto nel luglio del 1999 all’interno del palinsesto Milano Estate in Piazza Affari. Ripreso poi nel novembre dello stesso anno in sede. Nell’aprile del 2001 è andato in scena al Teatro Carcano di Milano e in tournée nella stagione 2002-2003 con Eros Pagni e Ivana Monti, nei ruoli che erano di Gianrico Tedeschi e Marianella Laszlo.
Ciò che colpisce in Todero è uno stato di claustrofobia, di chiuso, di grigiore, di polvere.
Non c’e spazio per la luce e quindi per la vita. La casa e, di conseguenza, lo spazio, assumono un valore altamente simbolico; diventano il luogo di un piccolo inferno domestico dentro il quale i personaggi, in un primo momento, si muovono come icone, come fantocci in attesa di diventare persone. Difficilmente questo spazio si apre all’esterno, agli altri; è lo spazio di un “malato”, di chi giustifica il risparmio considerandolo non solo punto d’onore, ma anche un fondamento dell’economia, mentre, in verità, è soltanto conseguenza dell’avarizia, della superbia, dell’ostinazione di un vecchio burbero, attossicato dalla brama di conservare, secondo la visione di Marcolina, la nuora che dopo anni di gelida e calcolata sottomissione, si ribella contro la diffidenza, i calcoli, la conduzione mortuaria dell’esistenza. Marcolina riscopre il valore della vita nel momento in cui la figlia deve iniziare, lei, la vita, magari attraverso un matrimonio meno infelice del suo, vissuto lontano dalla casa dove, tra una stanza e l’altra non si comunica ma ci si provoca.
La vita deve ritornare in quelle stanze vuote attraverso la luce che, nello spettacolo, assume significati diversi, divenendo qualcosa di maieutico, capace di tirar fuori tracce dell’esistenza; ma soprattutto attraverso i costumi che da grigi, lisi, polverosi, quasi monacali, si trasformano, lentamente, in fonte di colori che avanzano da ogni parte e che, nello sviluppo dell’azione, qualificheranno i personaggi femminili contrapposti a quelli maschili che si presentano con accumuli di costumi, per svestirsi man mano che i rapporti col padre-padrone assumono valenze diverse.
Insomma un Todero che mi ha fatto spesso pensare a Molière, meno atrabiliare, meno estremo di Arpagone, Tartufo, Argante e, quindi, meno tragico.
– Andrée Ruth Shammah