Due atti unici di Indro Montanelli
Cesare e Silla
regia Andrée Ruth Shammah
Resistè
regia Luca De Filippo
con Flavio Bonacci, Fiorenza Broggi, Federica Fabiani, Bob Marchese, Roberta Petrozzi, Luca Sandri, Viola Vergani
scene e costumi Gianmaurizio Fercioni
luci Marcello Jazzetti
Questi due atti unici scelti da Montanelli stesso perché “graziosi e ancora attuali” dovevano andare in scena a fine stagione: avevo cancellato le recite di un mio spettacolo per riuscire a dargli quello che durante le nostre conversazioni sentivo sarebbe stata una gioia per lui: essere applaudito, non solo come il giornalista che era ma per la sua attività teatrale minore. Stavamo programmando l’inizio delle prove quando lui mi chiese di rinviare: doveva subire un piccolo intervento in bocca, sembrava un lavoro lungo e voleva essere presente alle prove. Il teatro gli piaceva davvero! E per fargli sentire. Quanto prezioso era per me il dono della sua amicizia, ribaltai nuovamente la programmazione. Era troppo importante averlo con noi in teatro… I suoi atti unici aprono. Spero che lui ci veda e che si diverta alle sue spalle!
– Andrée Ruth Shammah
Ho sempre stimato Montanelli per la lucidità del suo pensiero, per la profonda analisi degli avvenimenti di cui era capace, per la semplicità e soprattutto per la chiarezza con cui esponeva le proprie idee. In un mondo di intellettuali sempre più omologato e conformista, chissà quanto dovremo aspettare qualcun altro che abbia altrettanta personalità e che sappia dare mai per scontato il proprio giudizio, mettendosi in condizione di continua discussione con severità e, perché no, anche con tanta ironia. Non lo conoscevo come autore teatrale e quando Andrée me ne ha dato l’occasione ho scoperto con piacere una scrittura sapiente e avvezza al palcoscenico. Era molto contento di essere rappresentato e aveva scelto lui stesso i due atti unici da fare, non sapete quanto mi dispiace che non possa assistervi. Resisté racconta con sarcasmo e ironia la metamorfosi di un uomo di cultura che, da libero pensatore, si trasforma in intellettuale marionetta del regime. È evidente il severo giudizio etico-morale che l’autore dà di questo cambiamento. Ma altre due annotazioni, secondo me di notevole interesse, si percepiscono come temi non secondari in questo testo. La prima è che la tanto decantata, soprattutto oggi, “meritocrazia” è una pia illusione, propinataci da color, che certo non solo per mezzo del “merito”, occupano posizioni di rilievo. La seconda, molto più rilevante e profonda, è come siano cambiati, nel tempo, i metodi di censura utilizzati dalla classe dirigente, sempre meno cruenti e, proprio per questo, molto più subdoli ed efficaci, come la lenta emarginazione, senza clamore, ma crudelmente determinata, di chi non la pensa in modo conforme. Piano piano si chiudono i ponti e le possibilità di esprimersi diventano sempre più esigua, fino all’esaurimento. E una guerra infida che lentamente isola, discrimina e ghettizza fino a minacciare la stessa sopravvivenza dell’individuo. Tutti noi sappiamo quale dovrebbe essere il dovere di un intellettuale, ma di fronte a questo muro di gomma e a questa babele di parole, quanti sono in grado di difendere il proprio ruolo di “libero pensatore”? Per quanto mi riguarda, non sono in grado di rispondere.
– Luca De Filippo
Andrée Ruth Shammah, maestra impareggiabile nei grandi eventi, ha proposto a Milano una due-giorni più mostra, con letture pubbliche e due atti unici scritti dal nostro più grande giornalista Indro Montanelli, che a tempo perso fu anche drammaturgo.
– Luca Doninelli, Avvenire
Due regie, raffinate, inventive e spumeggianti, ambientate nelle belle ideazioni sceniche di Gianmaurizio Fercioni.
– Magda Poli, Corriere della Sera
Ma la Shammah non è persona da scivolare sulla retorica da omaggio alla memoria. E come già sperimentato in altre occasioni, anche in questo caso lei ha puntato sulla magia del teatro per trascendere la morte e ridare la vita.
– Nella Lovero
Il divertimento è stato completo con la mise en esapce dei due atti da parte di amici ed estimatori: il ricordo può essere affettuoso anche senza i de profundis. E così abbiamo visto un Mannheimer che ha interpretato un direttore di manicomio, l’avvocato Cesare Rimini indossare la toga non forense di un Giulio Cesare apprendista tiranno e l’urbanista Marco Romano dargli la replica col tono blasè dell’aristocratico Silla.
– Ugo Ronfani, Il Giorno