Archivio / Teatro

Variété

Un viaggio dentro al teatro lungo percorsi nascosti, ricordi e fantasie mai realizzate

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Variété

Un viaggio dentro al teatro lungo percorsi nascosti, ricordi e fantasie mai realizzate

A conclusione della stagione 2004, Andrée decise di tagliare i ponti con il passato e di chiudere il teatro per consegnarlo ai responsabili dei lavori di ristruttuazione. Fece svuotare l’edificio e presentò il suo commiato con Varieté.

Era lo stesso titolo di un’operina per artisti e musicisti di Mauricio Kagel che lei aveva diretto alla Piccola Scala una ventina d’anni prima. Di quel concerto-spettacolo riprendeva la libera ispirazione, la pulsione tellurica, l’accumulo di linguaggi diversi, l’ironia triste del circo.

Immaginava che il teatro, benché chiuso da poco, sembrasse abbandonato da anni e che di quello spazio si fossero impossessati “gli spiritelli” del teatro, le anime dei personaggi che vi hanno abitato nel tempo, avanzi di spettacoli, ma anche brandelli di sogni, idee che non hanno visto la luce ma che conservavano un loro fuoco e reclamavano di esistere. Gli spettatori, a gruppi successivi, attraversavano tutto questo.

Era una produzione d’impegno straordinario: alla sua concezione contribuirono una dozzina tra autori, scenografi, coreografi, assistenti, creatori delle musiche, delle luci e dei suoni. Con la presenza in scena della stessa regista, che per prima viveva quelle memorie, parteciparono allo spettacolo più di venti attori, ballerine professioniste, acrobati e bambine danzanti allieve di Susanna Beltrami, oltre a numerose comparse silenziose e una quindicina di tecnici a vista.

Il percorso guidava gli spettatori in tutti gli angoli, non solo le sale, quindi, ma tutti gli ex uffici, gli atri, le scale, i gabinetti, i laboratori, dove s’incontrava ciò che dopo la disgregazione è destinato a restare: pietra e polvere. Ma improvvisamente facevano la loro comparsa  frammenti di spettacoli, fantasmi, attori, inquilini abusivi, in una continua sorpresa. Vagare nei ricordi del passato seguendo il genius loci, diventava metafora del processo creativo.

C’erano gli spazi svuotati, le macerie delle prime demolizioni, s’intravedevano sale che non si capiva come raggiungere, improvvisamente si finiva affacciati sulla piscina, dentro la quale c’era gente che bivaccava, giocando con dei piccoli fuochi, con degli animali, con l’acqua nelle vasche. Sulle loro teste dei free climbers camminavano lungo la parete, scoprendo delle lettere che componevano una scritta.

Le suggestioni erano continue ma resisteva la verità del ventre del teatro: il laboratorio del capomacchinista Albertino e l’antro degli effetti sonori di Paolo Ciarchi. Non mancava una citazione spiritosa: dal tetto sfondato cadeva una goccia che aveva scavato una pozzanghera per terra.

In uno spazio le voci registrate di Franco Parenti, di Eduardo, di Strehler. I loro discorsi intessevano una riflessione sui fondamenti dell’arte teatrale.

E poi improvvisi vuoti: di lì la storia del Teatro Franco Parenti non era passata.

Lo spettacolo era totalmente coinvolgente ma conservava le caratteristiche di uno studio: Andrée mise alla prova una tensione poetica che le urgeva da qualche tempo e che l’accompagnerà in diversi momenti degli anni successivi, usando la sorpresa come linguaggio di un teatro in cui si mescolavano la verità e la sua rappresentazione, dove gli attori erano se stessi e qualcun altro, in cui la realtà si sottraeva di continuo alla definizione, spiazzando gli spettatori.

Chi prese parte a quelle poche rappresentazioni conserva il ricordo di un meccanismo di complicità e insieme di straniamento, che rendeva la storia del Teatro Franco Parenti (che era, alla fin fine, il tema dello spettacolo) magica e la sua chiusura, sia pur temporanea, lacerante.

Quell’itinerario spettacolare rappresentò un punto di svolta nella storia del Teatro Franco Parenti e della Fondazione Pier Lombardo.