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Antonio e Cleopatra alle corse

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Antonio e Cleopatra alle corse

Impressioni dopo una filata
di Andrea Bisicchia

Lo spazio ideato da Andrée Ruth Shammah per Antonio e Cleopatra alle corse è uno spazio chiuso, non però claustrofobico, essendo quello di un inferno familiare, di inferno-crisi molto caro a Strindberg. È uno spazio che si dilata nell’immaginario delle corse che, attraverso sei monitor interni, consente alla coppia di alternare le proprie sconfitte con le vittorie dei cavalli.
I televisori sono per Bambina i soli mezzi che le permettono di comunicare con l’esterno e con una luce artificiale, ben diversa da quella dei raggi solari che i suoi occhi non possono sopportare. Dai televisori si dipana una specie di chiacchiericcio, voci di un coro anonimo che sembra, involontariamente, partecipare alla storia di due persone che hanno perso la macchina del desiderio, ma che ancora dicono di amarsi. Lo spazio è tutto a teatro, come lo era il verso per D’Annunzio, è, però, un non luogo, perché spazio della mente, dei sentimenti, dei rancori, dell’alienazione, ma anche delle passioni congelate da un male di vivere che, in Bambina, si materializza con la presenza assidua di cagne che ne sconvolgono la mente ma che non sono Erinni, perché lei non deve scontare nessuna colpa, benché provengano dal suo interno disturbato, non solo dalla luce, allusione metaforica all’oltre, ma anche da una storia di coppia che sembra arrivata all’ultima fermata. A questo spazio chiuso fa da controaltare lo spazio aperto di Bambino, quello dei bar, dei night, dei negozi, che lui frequenta durante le brevi libere uscite che Bambina le concede. Questo spazio aperto è falso, luogo di menzogne, di inganni, di illusioni sbagliate. Bambino e Bambina legati l’uno all’altra nello spazio ring, squilibrato, cercano un equilibrio nella competizione, dove c’è sempre un vincitore ed un vinto, dove c’è il buio e la luce, l’amore e la paura di perderlo. La passione per i cavalli è da intendere, pertanto, come un vero e proprio transfert, essendo finita la loro passione; così come lo sono le scommesse, perché si perdono e si vincono come nella vita. Andrée Ruth Shammah ha, così, trasformato lo spazio della casa in un non tanto metaforico spazio delle corse, dove si recita quotidianamente la tragedia della vita immettendovi un sapiente uso dell’umorismo consapevole del fatto che il dramma non concede spazio alla comicità, mentre la tragedia ne è indispensabile, come hanno dimostrato Molière, Pirandello, Eduardo, Testori. Ed è proprio l’umorismo la linea stilistica della Shammah, quella stessa che ci faceva ridere, negli anni Settanta, con la tragedia degli Scarrozzanti. Questa particolare categoria del comico, applicata ad un teatro come quello di Cavosi, ha permesso alla regista un lavoro di drammaturgia nel quale sono evidenti gli scatti umoristici, come se, nella composizione dei vari quadri, fosse contemplata la didascalia: si ride. E così accade che il tragico si stempera nell’umorismo, quasi alchemicamente, per lasciare un possibile spazio all’immaginazione, oltre che ad una possibile felicità.

Questo spettacolo è davvero una piccola, grande lezione di teatro.

– Domenico Rigotti, Avvenire


C’è la regia purosangue di Andrée Ruth Shammah a compiere il prodigio e a darci uno spettacolo tutto da godere grazie ad Annamaria Guarnieri e Luciano Virgilio, meravigliosi.

– Carlo Maria Pensa, Liber


Andrée Ruth Shammah ha ben saputo rendere, nell’interpretazione e nella scenografia, il clima metaforicamente claustrofobico del testo di Cavosi… usando magistralmente gli spazi del Parenti… E la coppia per bravura e physique du role funziona perfettamente, tenendo la scena per settanta minuti senza sbavature.

– Luca Vidio, Il Giorno