Come tu mi vuoi, fino a far piangere
dal programma di sala

Lo spettacolo Lulù ha un significato che va oltre la normale valutazione teatrale, è uno snodo, un punto di svolta, la somma di tanti percorsi e di messe in scena. Andrée Ruth Shammah lo ha affrontato alla luce delle tensioni creative che hanno accompagnato i progetti presentati nelle ultime stagioni, con la volontà di arrivare a una sintesi delle diverse energie.

Con questo spettacolo si è cercato di dimostrare come Milano possa vantare una drammaturgia straordinaria che ha ancora tanto da dire e come Bertolazzi abbia a che fare con la nostra contemporaneità. L’idea è molto semplice e consiste nel non sapere chi sia Lulù. Lulù si presenta in scena, all’inizio, con una straordinaria pelliccia, sotto la quale ha il costume di scena, un tutù da piccola mima col quale ballava; quando toglie la pelliccia da gran dama mantenuta, diventa una ragazzina per trasformarsi poi in una provocante donna d’epoca. Successivamente, la vediamo in camerino, nuda, con una sottoveste. Lulù non vuole entrare in scena perché non sa più chi è, non sa più che parrucca mettere, bionda, bruna, moderna. Perde la sua identità in questo cammino dell’essere. C’è in Bertolazzi anticipazione, certamente, di Pirandello.

Il timore è di spiegare troppo: ci sono delle telecamere, c’è un regista che dice di voler riprendere un’immagine di Lulù, c’è l‘uso delle nuove tecnologie … Si vorrebbe che tutto questo, nello spettacolo potesse sembrare naturale. Quando uno cammina sul filo, a cinquanta metri da terra, non vediamo la fatica e il lavoro che ha fatto, semplicemente vediamo qualcuno che cammina su un filo. Il laboratorio della Rai ha permesso di capire come utilizzare i mezzi televisivi, quale macchina mettere in piedi. Ci sono, nello spettacolo, tracce di naturalismo che non andavano forzate e stravolte. È delicatissimo, perché poi ci si deve dimenticare del regista, dei giochi, delle telecamere, per entrare nei sentimenti. È un po’ il meccanismo di Questa sera si recita a soggetto. Pirandello smantella, smantella, smantella; poi quando arriva Mommina, la sua scena ci fa piangere. È questo uno stratagemma per lasciare che alcune scene rimangano fresche nei sentimenti e nel drammatico. Non è tutto drammatico, non è tutto impastato nel drammone del ‘900. È un’impaginazione, un impianto che permette, ad alcune scene, di essere più emozionanti. Scardinando ciò che risulta superato, si prepara l’arrivo delle emozioni in modo che i sentimenti emergano quando devono emergere, fino a far piangere.

– da un’intervista ad Andrée Ruth Shammah

La scena di mettere in scena lulù si inserisce in un filone di drammaturgia lombarda novecentesca, coltivato da Shammah e Parenti (…) raramente allestita, questa commedia drammatica ha in sé sia il realismo popolare di “El nost Milan” sia le anticipazioni di certi conflitti interiori pirandelliani.

– Claudia Cannella, Corriere della Sera


Shammah indaga le zone d’ombra della psiche e dei sentimenti e ben sceglie come linea portante della sua regia la crisi di identità che colpisce l’uomo all’inizio del Novecento, quindi, il personaggio. Come metodo introspettivo Shammah fa ricorso a un “distanziamento epico” che ne avvalora la scelta. Una regia colta che crea col miscelare virtuale e reale, impedendo straripamenti veristi.

– Carlo Bertolazzi, Corriere della Sera


La Shammah è da sempre una regista che privilegia, indagandolo in ogni sua piega, il senso di un’ opera. E Lulù è un testo scritto in un periodo storico in cui nasceva la psicoanalisi e Sigmund Freud definiva il termine psicoanalitico in due articoli nei quali descriveva questo metodo come “un procedimento per l’indagine di processi mentali, inaccessibili altrimenti” (…) Andrée Ruth Shammah, come una psicanalista ma con i mezzi propri del regista, ha scelto una chiave di lettura originale: la meta-teatralità. (…) non vi diremo come finisce, vi diremo che Shammah ha vinto la scommessa.

– Simona Frigerio, Persinsala