Archivio / Teatro

Vangelo secondo Lorenzo

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Vangelo secondo Lorenzo

In ultima analisi, saremo giudicati per l’amore che avremo messo nelle cose.

Lorenzo Milani

Vangelo secondo Lorenzo è uno spettacolo che nasce in occasione del cinquantenario dalla morte di Don Lorenzo Milani dalla penna di Maura Perini e Leo Muscato, uno degli autori più innovativi della scena contemporanea del nostro teatro. Il principio fondante della piccola rivoluzione di Don Milani, l’importanza del possesso della parola, è anche il principio ispiratore di questa messa in scena, attraverso la quale vengono indagate tematiche che ci risultano molto utili a migliorare la comprensione dell’odierno valore dell’educazione e della pedagogia.

Possedere le parole significa appropriarsi di una certa autonomia intellettuale, in grado di offrire libertà dalla schiavitù dell’ignoranza. La piccola rivoluzione di Don Milani forse potrà esserci utile per immaginare un futuro possibile che, in realtà, era stato scritto e pensato più di mezzo secolo fa. Il viaggio nel mondo del Priore di Barbiana prova a divulgare, presso il grande pubblico, la preziosa rarità di un pensiero così vibrante e così radicale.

 

 

 

Siamo nell’immediato dopoguerra e c’è un paese da ricostruire. Le politiche industriali Italiane sono ancora fortemente sperequative e giocano sulla linea d’ombra di connivenze d’interessi tra DC e industriali. Quei soprusi sono difficili da fronteggiare in assenza di un’azione organizzata e di un quadro normativo a tutela del lavoratore. Inoltre, nell’arena internazionale, la guerra fredda polarizza in chiave fortemente ideologica il conflitto capitale-lavoro. E se la Santa Sede e le gerarchie cattoliche scendono in campo con misure drastiche (come per esempio la scomunica papale dei comunisti), il basso clero e il mondo cattolico più sensibile ai temi della giustizia sociale provano a destreggiarsi, agendo nel vivo d’una conflittualità sociale che spacca in due le comunità territoriali.

Il testo originale, inizialmente strutturato in quattro atti viene qui proposto nella versione ridotta agli atti Vita da Cappellano e Vita da Priore. Si tratta delle due stagioni della breve vita di Don Milani segnate dai confini territoriali ove iniziò, proseguì e concluse il suo apostolato sacerdotale: Calenzano prima e Barbiana poi.
La vicenda ripercorre le fondamentali tappe di snodo dell’avventura umana, sociale e spirituale di Don Lorenzo e di quanti gli furono accanto.

Atto I – Vita da Cappellano (1947 – 1954)

Appena ordinato Sacerdote, a causa dei disordini procurati in Seminario Lorenzo Milani crea imbarazzo alla Curia nella scelta della sede d’assegnazione al suo primo servizio pastorale. L’elemento è difficile da collocare, non gode di una buona nomea: troppo critico, troppo inflessibile, troppo radicale. Verrà destinato alla popolosa parrocchia di San Donato di Calenzano, in qualità di cappellano.

Calenzano è un distretto tessile alle porte di Firenze che ribolle di tensioni sociali, latenti o manifeste. Lorenzo Milani toccherà con mano i problemi di sfruttamento del lavoro minorile e della manodopera sotto-salariata e sfruttata; cercherà di fornire alla povera gente gli strumenti necessari per difendersi dai soprusi subiti in fabbrica.
In parrocchia don Lorenzo avvierà una Scuola Popolare per giovani operai e contadini, convinto che non si possa portar la parola di Cristo a chi non sa neanche leggere e scrivere. «Pretendere di evangelizzare degli ignoranti» dice, «è commettere reato di plagio della credulità popolare». La scuola è aperta a tutti: parrocchiani e comunisti, atei e credenti, nessuno escluso. L’idea è fornire loro, prima d’ogni altra cosa, l’istruzione civile e la coscienza dei propri diritti.
Don Lorenzo, da sacerdote, attraverserà le calde competizioni elettorali del ’51 e del ’53, mal tollerando le ingerenze della Curia di Firenze che fa pervenire alle parrocchie le indicazioni di voto recepite dalla Santa Sede; si tratta di “consigli elettorali” che i sacerdoti devono dispensare ai fedeli dal pulpito; ma don Lorenzo è uno che ragiona con la sua testa, e rifiuterà decisamente il ruolo di pedina eterodiretta in una partita giocata da altri.
Verrà rimosso da Calenzano e l’evento segnerà profondamente la sua vita.
Inutili saranno i tentativi dei parrocchiani e del popolo di Calenzano di fronteggiare e ostacolare le disposizioni della Curia fiorentina. Il giovane sacerdote pagherà con l’esilio a Barbiana quel suo adoperarsi a vivere con coerenza i principi di un evangelismo radicale.

Atto II – Vita da priore (1954 – 1967)

Alle pendici del Monte Giovi, Lorenzo prosegue l’opera di educazione del suo popolo che ha avviato a Calenzano. Qui non ci sono operai di fabbrica, ci sono i contadini. E i loro figlioli, che lavorano nei campi e nelle porcilaie, sono una forza lavoro necessaria al sostentamento familiare.Il giovane prete convince i genitori che di quei piccoli montanari semianalfabeti se ne può fare altro. Avvia la Scuola di Barbiana, uno dei più interessanti laboratori pedagogici del dopoguerra.

Barbiana produce anche politica, nel senso più nobile del termine. I ragazzi partecipano ai grandi dibattiti che animano e dividono il paese. La Lettera ai cappellani militari sull’obiezione di coscienza, elaborato che don Lorenzo condivide con loro, nasce così, e produce l’effetto d’un sasso lanciato in un lago d’acqua stagnante. Lo scritto colpisce al cuore le tante contraddizioni in seno alla Chiesa, puntando il dito contro i cappellani militari che hanno stigmatizzato di codardia i primi obiettori di coscienza.
Sul terreno della laicità e dei diritti civili, quel pamphlet fa schizzare in alto il livello del dibattito su pacifismo e libertà individuali. Lorenzo Milani finisce sotto processo con l’accusa di apologia di reato.
È in quest’occasione che il resto d’Italia si accorge dell’esistenza di Barbiana. Intellettuali e accademici di chiara fama salgono sin lassù per andare a curiosare. Don Lorenzo accoglie tutti, ma chiede loro di pagare un “tributo culturale”, mettendosi realmente al servizio d’una comunità di contadini dimenticati sulla cima d’un monte.

A Barbiana don Lorenzo pubblicherà Esperienze pastorali, l’inchiesta sull’apostolato tra le classi povere già avviato a Calenzano. Nelle intenzioni, il libro è indirizzato al clero, che deve interrogarsi profondamente se vuole che la sua missione evangelica tra i poveri lasci anche un vigoroso segno sociale. Ma il libro diventa un caso editoriale: suscitano gli entusiasmi della stampa di sinistra e la deplorazione di certa parte della gerarchia vaticana.
Con decreto della Santa Sede, Esperienze pastorali viene ritirato dal commercio. Poco dopo Lorenzo si ammala del linfogranuloma che lo porterà alla morte.
Gli ultimi anni di attività della scuola di Barbiana producono un’altra grande opera: Lettera a una Professoressa. Ora sono gli studenti stessi in prima persona, con la tecnica della scrittura collettiva, a lanciare un accorato grido d’allarme, di marca classista, contro quella scuola pubblica di stampo borghese, che pubblica non è affatto, se respinge gli ultimi, per privilegiare i figli mollicci e viziati della piccola e media borghesia.
In una corsa straziante contro il tempo e la morte Lorenzo, ormai malatissimo, farà di tutto perché il libro-testimonianza dei suoi ragazzi sia accolto e valorizzato come si deve.
Morirà a Firenze, a casa dell’amata madre, circondato dall’affetto dei suoi ragazzi.
Con ultimo atto d’amore, fornirà loro testimonianza del mistero della morte d’un uomo, offrendo il suo corpo e i suoi ultimi pensieri ai loro sguardi attoniti, come fosse, egli stesso, un libro aperto.

Quello che c’è di bello nello spettacolo, per essere chiari, è quello che c’è di buono – qui non si fa teatro per il teatro ma per raccontare una storia. Il buono vi insospettisce? Pensate che il prepotente desiderio del prete non di scendere verso i poveri, ma di far salire i poveri prima di tutto alla conoscenza delle parole, poi alla coscienza della loro vita di sfruttati, pensate che quel desiderio sia ambiguo? Allora rileggete le sue parole, o ascoltatele recitate da Alex Cendron, che lo impersona con tatto, con discrezione, senza mai si pensi stia recitando. Leggete o ascoltate e si capirà che nello spettacolo non vi è agiografia per la semplice ragione ch’esso si limita a mostrarci don Milani così come fu nella sua battaglia mortale. […] Aggiungo solo che i dieci attori che vediamo accanto a Cendron e gli 8 ragazzini che recitano come suoi allievi non sono o non appaiono mai “attori”. Anche loro, come Cendron, come il testo, come il suo protagonista, ci sembrano immediati, diretti, genuini.

– Franco Cordelli, Corriere della Sera


È uno spettacolo di grande respiro, scritto (a quattro mani assieme a Laura Perini) da Leo Muscato che ne è anche regista. Del testo originale, solo la metà va in scena, con gli episodi che riguardano la parrocchia di Calenzano e quella di Barbiana: l’insieme potrebbe essere destinato a una narrazione televisiva. E non c’è da scandalizzarsi: anche questa anticipazione da palcoscenico è dichiaratamente pop, nel senso originale di «popolare», perché vuol far conoscere al più ampio pubblico un padre semisconosciuto e per tanto tempo osteggiato della nostra cultura. Un contenitore austero (canonica, chiesa, casa del popolo) che cambia a vista, mentre il bravissimo Alex Cendron, nei panni sempre talari del protagonista, affronta le tante stazioni di questa umanissima quanto rigorosa via crucis.

– Gianfranco Capitta, Il Manifesto