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Il delitto di via dell’Orsina

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Il delitto di via dell’Orsina

Il ruolo del teatro è anche quello di saper comprendere il proprio tempo e i bisogni delle persone che quel tempo lo vivono. E oggi, dopo i mesi bui e incerti che abbiamo trascorso, il nostro bisogno, come esseri umani e come spettatori di teatro, è quello di poter tornare a sorridere e di farlo nell’unico modo in cui ci è possibile farlo: con leggerezza. Con quella leggerezza che, come diceva Calvino, “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

Una commedia che, con la sua ironia e la sua precisione, riesce a farsi largo tra la frenesia e le preoccupazioni che accompagnano il nostro presente, per prenderci per mano e farci trascorrere una serata divertente e leggera eppure non superficiale.

Lo spettacolo di Andrée Ruth Shammah è uno spettacolo generoso, che con umiltà e delicatezza ci regala l’emozione di tornare a teatro. A quel teatro essenziale e “artigianale” in cui ogni gesto, ogni parola, ogni oggetto, è studiato e curato nei minimi dettagli.

E questo è possibile solo grazie all’esperienza della sua regista, alla bravura e alla personalità di attori come Massimo Dapporto e Antonello Fassari, all’affascinante complessità della scena di Margherita Palli e all’armonia che le musiche di Alessandro Nidi conferiscono a tutta l’opera.

Il Delitto di via dell’Orsina è uno spettacolo che, come ha detto una nostra spettatrice, “con quel suo misto di buffo e malinconico, ci stringe il cuore e fa sorridere al contempo”.

La messinscena orchestrata da Andrée Ruth Shammah è di grande impatto ed eleganza: con minuzia certosina non lascia nessun dettaglio al caso. La regista sviluppa con meticolosità le personalità di ciascun personaggio, sviscerando tutte le sfumature del testo originale, finendo così per proporre al pubblico molteplici ulteriori livelli di lettura, per scoprire una storia nella storia: la formalità dell’atteggiamento borghese, anche all’interno della coppia, o la profonda distanza tra le classi sociali e le generazioni, coronato dal divertente passaggio di consegne tra Amedeo e Giustino.

Si ride molto assistendo a Il delitto di via dell’Orsina sebbene alla fine resti una strana inquietudine, frutto dell’eccezionale capacità di scrittura che ha reso Labiche uno dei drammaturghi di maggior successo della sua epoca eppure capace, con trame sempreverdi e una tagliente satira sulla borghesia, di coinvolgere anche il pubblico del XXI secolo.

Dapporto e Fassari sono impagabili per lo stretto battibeccare e per l’eloquente mimica che carica di comicità anche i momenti privi di battute: quale grande intuizione il metterli in scena insieme.

Non mancate di assistere a questo piccolo grande capolavoro e scoprire cosa quei due pasticcioni di Zancopè e Mistenghi abbiano combinato la notte scorsa.
Silvana Costa – artalks.net
Con questo Il delitto di via dell'Orsina, Andrée Ruth Shammah raggiunge uno dei punti più intensi della sua arte di regista segnata da una cifra rara e a volte, a mio parere, non compresa: la leggerezza.
Roberto Mussapi - Avvenire
Ridere fa sempre bene, ma c’è risata e risata, quelle arrivate e vissute al Parenti, non provengono da volgarità, ne doppi sensi scontati e usuali, ma direttamente da ragionati e vissuti momenti fantasiosi all’interno di una realtà parallela, che prende vita sul profumato legno del palco.
weblombardia
Credo che l’abilità di un regista consista nel riconoscere il mondo teatrale da far risuonare dentro ciascun attore e nel saper utilizzare al meglio le doti di ciascuno.
La personalità di un attore come Dapporto ha risvegliato in me tutto ciò che conoscevo dei grandi attori del passato, e l’umanità di Antonello Fassari mi ha portata a lavorare molto sul suo personaggio, inventando per lui delle battute e un’intera canzone che in Labiche non c’erano, e che restituissero ad Arturo Mistenghi tutta la complessità d’animo suggerita dal suo interprete.
Ho lasciato poi ad Antonio Cornacchione lo spazio per la sua inesauribile creatività comica, e ho scelto due delle tante proposte che durante le prove mi ha fatto.
Andrée Ruth Shammah

Rassegna stampa

Eugène-Marin Labiche nacque a Parigi nel 1815 da una famiglia di ricchi borghesi, industriali molto stimati. E fu proprio nella “borghesia” che trovò quasi tutti i protagonisti e gli intrecci delle sue pièces. Borghesi con tutte le loro manie, le loro pecche, i piccoli difetti e le grandi virtù. Ha firmato in quarant’anni ben 174 copioni fra commedie e atti unici, scritti da solo o in collaborazione con altri autori. Una frenetica attività drammaturgica che ha prodotto alcuni capolavori come Il cappello di paglia di Firenze ed è culminata con due messinscene alla Comédie Française e la chiamata all’Académie Française. Fu consacrato anche come il “re del teatro da boulevard”, genere di teatro leggero e comico allestito in teatri parigini a gestione privata, come il Palais-Royal dove il drammaturgo mise in scena anche L’Affaire de la rue de Lourcine nel 1857, e 29 degrés à l’ombre nel 1873.