Archivio / Teatro

Locke

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Locke

Un viaggio epico di un eroe contemporaneo.

© Noemi Ardesi

Dopo il debutto estivo, Filippo Dini, attore e regista tra i più interessanti del panorama teatrale italiano, torna in scena con la trasposizione teatrale del grande successo cinematografico diretto da Steven Knight con protagonista Tom Hardy.

Un uomo esce da un cantiere, si sfila un paio di stivali da lavoro e sale su una bella auto. Qui inizia il suo viaggio. Durante il tragitto, Locke parla al telefono con altre persone. Non conosciamo le sue emozioni e i suoi pensieri, ma sono le telefonate a raccontarci la sua storia ed è la forma dei suoi rapporti a svelarcelo. Locke è un uomo borghese: ben vestito, con un buon lavoro, un buon reddito e una bella famiglia. A casa lo aspettano due figli, una moglie, la partita alla tv, le birre e il barbecue. Il cantiere al quale lavora è la costruzione di un edificio di grande prestigio e per la mattina seguente è prevista “la più grande colata di calcestruzzo dell’edilizia urbana londinese”. Tutti si fidano di lui, ha tutto sotto controllo, è “il più bravo capocantiere d’Inghilterra”.

Quella notte però Locke non torna a casa, ma parte per un lungo viaggio. Succede qualcosa che cambierà per sempre la sua esistenza e compirà una scelta che distruggerà la sua vita per come l’ha conosciuta e costruita fino a quel momento. Un testo sull’assunzione di responsabilità e sull’estrema fragilità degli edifici morali sui quali costruiamo le nostre famiglie e le nostre sicurezze.

Dini è bravissimo e bravi sono anche gli attori che partecipano con le voci registrate. Dini riesce a dialogare con loro come se fossero lì, in diretta ed è abilissimo a mettere in campo tutti gli stati d’animo che lo attraversano, passando con estrema disinvoltura dai toni della commedia (lo spettacolo è a tratti esilaranti) a quello della tragedia, senza che scemi mai la tensione in scena.
Valeria Palumbo - Persinasala
Un testo impeccabile, dal ritmo perfetto, dai passaggi psicologici ed emotivi semplici eppure geniali, un finale naturale come accadrebbe nella più classica delle giornate di un uomo qualunque. […] Dini carica la performance di una fisicità di dura e insieme tenera disperazione, solo all'apparenza interrotta dalla posizione seduta, che tiene per tutto il tempo della pièce. Il volante è il bordo della zattera cui si aggrappa per non soccombere, l'autostrada l'unica chance di ritrovare una direzione.
Stefania Vitulli - Il Giornale