In occasione della presentazione del libro di Aimara Garlaschelli
Alfabeto della posterità (ed. Scalpendi)
l’autrice dialoga con Laura Boella e Antonio Gnoli
Nel 1960 Primo Levi aveva immaginato Il Versificatore, oggi c’è una app (Verse by Verse) che compone versi su richiesta. Nel 1967, Italo Calvino in Cibernetica e fantasmi profetizzava che presto i computer avrebbero scritto romanzi da soli, e il noioso Autore avrebbe lasciato la scena al Lettore, finalmente libero al centro dell’opera.
Chat GPT-3 (una chatbot di intelligenza artificiale basato su GPT-3.5 e GPT- 4) sembra realizzare questa provocazione tanto efficacemente che è stata quasi subito bloccata dal Garante della privacy italiano.
Ma il linguaggio può essere ridotto ad un algoritmo, o l’algoritmo elevato a linguaggio? Alfabeto della posterità è, forse, “surrealismo poetico-tecnologico”, perché immaginario poetico e intelligenza artificiale si confondono. Il libro racconta di una lettera che appare in sogno, ma al risveglio è perduta. L’intelligenza artificiale opera nel testo e conduce Autore e Lettore nel regno onirico per dare significato alla lettera dimenticata, facendo agire il già scritto. Ciò che resta sono frammenti di futuro.