Lino Guanciale dà voce al primo romanzo di Giovanni Testori Il dio di Roserio, che racconta la grande carica di vitalità animale dei ciclisti durante le gare.
Ambientato nella provincia lombarda del secondo dopoguerra, pubblicato in prima edizione nel 1954, il racconto si trasforma man mano, in un potente apologo sulla natura umana e sulle sue feroci ambizioni.
L’asfalto che fuma, parafanghi, pedali, lamiere, rifrazioni di acciaio. Le strade, gli spigoli dei palazzi, i mattoni cotti, le piazze. I particolari ingrandiscono fino a fare paura… E ancora: umori, saliva, limoni fra i denti, succhi gastrici che risalgono dallo stomaco urticando il laringe.
– dalla prefazione Il dio di Roserio (ed. Feltrinelli, 2018)
Potentemente pittorica, folle e visionaria è la scrittura. Una sperimentazione linguistica che instaura un rapporto totale con l’opera e con la realtà che descrive.
Le ruote delle bici girano indiavolate, non ci si può fermare. E poi i corpi: corpi sconnessi, spezzati dai manubri, sezionati dagli occhi che afferrano lacerti anatomici. Nella deformazione fisica data dalla velocità e dalla discesa. Bocche, denti, capelli, fasci muscolari, tendini aguzzi, vertebre scatenate. E ancora: umori, saliva, limoni fra i denti, succhi gastrici che risalgono dallo stomaco urticando il laringe. E di nuovo quella montagna che sembra franare scaraventandosi nel lago.
Il dio di Roserio – scrive Vittorini – è un corridore ciclista, dio, a giudizio delle siepi di folla che glielo gridano. È creatura più grande del vero, primo caso della vocazione espressionista di Testori e della sua sperimentazione linguistica. Testori al suo primo libro mostra di voler scavare la realtà per suo proprio conto.