da un’idea di Massimo Mattioli
di Angela Dematté
con Claudia Coli
regia Andrea Chiodi
scene Guido Buganza
costumi Ilaria Ariemme
musiche Daniele D’Angelo
luci Orlando Cainelli
produzione MART museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto / Teatro Stabile di Bolzano / Centro Servizi Culturali Santa Chiara
Dama dei salotti in epoca fascista, fondò il gruppo Novecento e fu mecenate di numerosi artisti come Boccioni, Sironi, Funi. Contribuì a costruire in modo determinante, ma anche inquietante, il mito del duce, proprio quel Dux che poi nel 1938 promulgò le leggi razziali che la costrinsero, in quanto ebrea, ad abbandonare l’Italia.
Lo spettacolo ripercorre i suoi bizzarri moti dell’anima in cui si trovano intrecciati la grande Storia, i bisogni del popolo e i dolori di madre che hanno condizionato l’arte e la storia d’Italia. La cronaca di allora racconta che alla grande mostra fascista del 1932 Margherita Sarfatti non fu invitata ma vi entrò di nascosto. Ed è da questo luogo che ci parla, in un faccia a faccia con Mussolini, nel tentativo di dare senso e dignità estetica a quanto ha vissuto, alle vicende della sua vita artistica, materna e amorosa.
NOTE ALLA DRAMMATURGIA – Angela Dematté
Una donna entra nella redazione de Il Popolo d’Italia, il primo giornale che Benito Mussolini fondò dopo essere stato licenziato dall’Avanti!. Questa donna è Margherita Sarfatti (…) Il racconto che sentiremo è collocato in quella redazione che, ormai, non è più il luogo del loro primo amore ma è una rappresentazione, un prodotto artistico capace di costruire e contenere la vita. (…) Il rito teatrale non può far altro che cercare le contraddizioni, i dilemmi e le parti più intime di questa vicenda. Mai come nel periodo fascista, il potere mette in campo una manipolazione spudorata delle idee e dell’immaginario. Arte e politica si muovono in modo osmotico. Da dove viene tutto questo? Da quale arroganza? Da quale necessità di ordine e di rimozione del dolore? O forse la politica e l’arte che hanno successo non sono che rappresentazioni che condensano i desideri e i bisogni nascosti di un popolo? Quel che vedremo in scena è una donna che, nel tentativo di dare senso e dignità estetica a quanto ha vissuto, ripercorre le vicende della sua vita artistica, materna, amorosa. Ripercorre i suoi bizzarri movimenti dell’anima in cui si trovano intrecciati la grande storia, i bisogni del popolo e i dolori di madre che hanno condizionato non solo l’arte ma anche la storia d’Italia.
NOTE DI REGIA – Andrea Chiodi
Lavorare su una figura come quella di Margherita Sarfatti, quella che per i più è sempre stata solo l’amante del Duce, non è affare semplicissimo. Attraverso la scrittura di Angela Dematté sono riuscito ad avvicinarmi di più alla figura femminile di Margherita, al suo essere madre, oltre che del fascismo, del figlio Roberto e di tantissimi artisti. Una capofila, una donna capace di scoperte e intuizioni importanti. Questa donna – che si è trovata sempre nel posto giusto al momento giusto, che ha sostenuto tanti ideali e si è spesa per tanti – si è innamorata di un uomo, Benito. Si sono poi trovati a percorrere strade diverse, lui si è allontanato da quegli ideali condivisi con Margherita e l’ha abbandonata, anzi esclusa. Ecco incontriamo Margherita Sarfatti nel momento dell’esclusione, mi verrebbe da dire per sua fortuna, e l’ho voluta mettere faccia a faccia con quel Mussolini che si fa celebrare in una grande mostra sul fascismo e non la invita. Così ci dice la storia: alla grande mostra fascista del 1932 Margherita Sarfatti non è invitata, vi entra di nascosto, in solitudine. E in questo momento e da questo luogo che ci parla. Mi è piaciuto attraversare l’umanità di una donna che non si può limitare a essere l’amante di… ma come sempre è molto di più. E così in una stanza immaginaria del palazzo delle esposizioni di Roma, nel luogo dove venne ricostruito lo studio Milanese di Mussolini, Margherita Sarfatti si confronta con il pensiero artistico, politico e sociale che l’ha portata a essere la Sarfatti, la capofila dell’arte fascista, la “madrina” di artisti importantissimi che hanno segnato l’arte del Novecento italiano. In un monologo che ho desiderato fosse molto serrato e intimo come lo sono i flussi del pensiero.