«Un posto fatto di persone diverse, che si guardavano e si stringevano tra loro. La meraviglia negli occhi è arrivata da lì: il vicino di pianerottolo, la famiglia del Senegal, il ragazzo omosessuale, considerato strano, nell’ultimo piano. C’era già il mio destino tra quei palazzi». Che direbbe all ‘Ambra di allora? «C è stato un periodo in cui non ne volevo sapere di quell’Ambra lì. Se oggi potessi avere un regista della mia vita, vorrei che fosse lei. Sarebbe la parte più ironica, sfacciata. Le due insieme farebbero danni belli». Con gli esami che rapporto ha? «Il trauma dei provini c è. Arrivo preparatissima, ma non so dare il meglio di me. Credo derivi dal fatto che fin da piccola ero esposta al giudizio di tutti. A elaborare le informazioni negative ci metti tempo. Alcune penso di averle elaborate due minuti fa». Il provino di “Non è la Rai”? «Le tate sono state mio fratello e la danza, i miei lavoravano. La danza era parte ludica e una responsabilità. Clelia, la mia insegnante, mi manda al provino, mi ritrovo— complessata — in una marea di ragazze, migliori di me. Come sempre nella carriera sono fuori contesto, un pezzo di flamenco, lo scialle, Innuendo dei Queen. Boncompagni mi guarda come una forma di vita non identificata».