Exfanzia: il salto di un poeta. Valerio Magrelli a Teatro
di Rebecca Diana Ricciolo
Il 26 Settembre Valerio Magrelli ha presentato al Teatro Franco Parenti la sua ultima raccolta di versi dal titolo Exfanzia. Un etimo curioso e irriverente, di cui subito viene discussa la manipolazione: in antitesi col suo opposto, infanzia, parrebbe indicare un allontanamento, un abbandono, un’uscita dall’infans, l’infante latino. Se l’infante è chi ancora non proferisce parola, in quelle di Magrelli l’exfante è chi non parla più, chi è ormai allo stremo della propria esistenza e abbandona la volontà del raccontare. Una definizione incredibilmente fuorviante per il lavoro di un autore che si pone in maniera matura sulla scena poetica italiana e che affronta il tema della terza età con estrema onestà e una certa, ironica, amarezza. Un uomo che ha qualcosa da dire e, contrariamente a ciò che si potrebbe immaginare, dà forma alle proprie sofferenze grazie al verso.
La sua poesia è, quindi, figlia di un disagio che viene costantemente cauterizzato ma mai sanato, che prende possesso dell’individuo e ne mette in scena le lesioni. Come un bambino che mette in scena il proprio dolore lamentandosi e piangendo, Magrelli pone il lettore in condivisione di un sentimento simile, di un bisogno, di un punto di congiunzione di due fasi vitali apparentemente contrapposte.
«Siamo fatti di vetro soffiato:
l’unica cosa buona sta nel soffio».
Questa attenzione materica ci rende immediato considerare il corpo, così come il tempo, temi fondanti di un’opera che già dal titolo si predispone ad affrontare una nuova età dell’uomo, mettendone in mostra le ferite e i dolori. Ponendosi come un Pollicino senza arte né parte, Magrelli si sente un umano gettato in un mondo caotico e scomposto; come l’istrice catacretico di Derrida, il Poeta ha davanti a sé il disastro, visibilmente delineato, ma, nonostante ciò, non fa nulla per fermarlo.
«Si entra dentro al mondo
mentre si perde il mondo accanto alla persona che si ama».
La vera domanda per Magrelli è allora se si possa uscire vivi dalla vecchiaia, con ancora la capacità di stupirsi, sentirsi parte di qualcosa. Ciò che il poeta ci lascia intendere è che la senilità porta con sé un dialogo tra la vita e la morte che si carica di consapevolezze e di linguaggi nuovi. «Il vero dialogo è solo il dialogo coi morti», diceva Pascoli. Lo stesso punto viene ripreso da Magrelli per sottolineare l’affaccio sull’ignoto che la terza età porta con sé. Un movimento che è carico di suggestioni, sensazioni, proiezioni. Il poeta vive questo confine ritrovandosi nella sua immagine allo specchio, vedendo le linee del proprio volto abitate dai propri predecessori. Riscopre l’altro nel suo riflesso e ci fa comprendere che infanzia ed exfanzia, più che due punti opposti della stessa linea, sono due insiemi che si intersecano in un punto: lo stupore.
Lo stupore che il poeta prova quando la vita, l’in-fante, scopre la sua individualità e il mondo attorno a sé, e quello che prova quando la stessa vitalità la osserva come un riflesso: l’ex-fante, il salto fuori dalla fanciullezza.