Grannies. drag, musica e risate ma con un pizzico di nostalgia
di Bianca Vittoria Cattaneo
Musica e risate per Grannies, lo spettacolo del Jerusalem Khan Theatre che il Teatro Franco Parenti ospita nelle sere del 20 e del 21 Dicembre. In scena soprattutto con l’obiettivo di divertire e far ridere – da drag show che si rispetti –, lo spettacolo vuole anche celebrare e sottolineare la funzione e la magia del teatro. Solo attraverso la mimesi scenica e il ricordo è infatti possibile raccontare la storia e l’amicizia delle quattro originali ed esuberanti anziane signore che vediamo sul palco.
L’arte drammatica come memoria è un filo che percorre tutta la rappresentazione. Il tema viene sottolineato in apertura e chiusura di spettacolo grazie ad un felice motivetto intonato dalle quattro protagoniste accompagnate dall’infermiera Lucy. La canzone ci racconta innanzitutto di mancanza. Ricorda al pubblico e agli attori che attraverso uno spettacolo è possibile non solo commemorare la propria nonna, è possibile addirittura farle prendere di nuovo vita permettendole di rubare con un incantesimo, per i minuti della messa in scena, il corpo di qualcun altro. Gli attori, quindi, vestono direttamente i panni delle loro nonne defunte e, miscelando sketch esilaranti e riflessioni più intime sulla vita, creano un quartetto assolutamente originale; una macchiettistica, ma molto credibile, rivisitazione di quattro vite a cui sono stati sinceramente affezionati.
Aziza, Fella, Shosh e Sonia, si destreggiano tra le loro passioni, i ricordi del passato e i dispetti perpetrati alla povera infermiera geriatrica che ha il compito di accudirle. Ognuna di loro ha degli specifici interessi che spesso sanno di riscatto, attraverso cui ricercano la libertà che viene inevitabilmente a meno all’interno della casa di riposo. Nel racconto delle loro storie, sempre declinato in chiave comica, è presente però anche una componente malinconica. Un velo di nostalgia aleggia sopra il ricordo delle loro vecchie abitazioni e delle loro vite trascorse; non manca nemmeno una certa dose di risentimento (ma sempre accompagnata da un grande amore) nei confronti dei parenti che le hanno abbandonate. Inevitabilmente tutto questo si lega anche ai problemi di memoria di cui tutte e quattro sono più o meno affette e che ce le fanno teneramente apprezzare risultando sia genuinamente divertenti sia sensibili nella loro malattia.
Un guizzo di positività è presente visivamente grazie all’allestimento curato da Svetlana Breger, che propone una colorata scenografia anni ’50 con colori rosa acceso e poltroncine color panna. La necessità è quella sia di trasmettere sul piano della realtà scenica un senso di serenità necessario nell’arredo di una casa di riposo, sia, sul piano della fruizione, un’idealizzazione di un passato un po’ troppo confetto per essere reale. Riportandoci quindi sempre all’idea che ciò a cui stiamo assistendo non è tanto un ricordo di ciò che loro stesse avevano vissuto, quanto una ricostruzione, fatta appositamente a teatro dai loro quattro nipoti.
Gli attori imitano i movimenti e le voci delle anziane signore con grande naturalezza, caratterizzandole studiatamente anche per modo di parlare e modo di muoversi. Nonostante la barriera linguistica (tutto lo spettacolo è in lingua ebraica), la mimica e le coreografie sono davvero coinvolgenti, spesso in grado di far scordare allo spettatore di dover leggere i sovra titoli. Nello specifico, spassosissimo è il momento in cui Sonia si rende conto di dover preparare altro cibo per il nipote, e le quattro nonnette improvvisano un balletto tra pentole, stoviglie e bicchieri. Nella naturalezza del momento è impossibile non associare, ognuno nella propria memoria, un ricordo d’infanzia in cui i nonni si operavano affinché ogni nipote avesse da mangiare più del necessario. Una scena che ci permette di empatizzare ancora di più con gli attori e far cadere le diversità culturali e linguistiche in favore di un’esperienza comune, attingendo ognuno ai propri ricordi.