Mi chiamo Davìd non Davide
di Angelica Ferri
Noto volto televisivo e famosissima voce radiofonica, David Parenzo approda sul palco del Parenti con un monologo comicamente irriverente Ebreo!. Lo spettacolo arriva al pubblico senza mezzi termini con lo scopo di svelare le complessità di un’antica tradizione religiosa e nel tentativo di far crollare qualche luogo comune costruito contro il «popolo di Dio».
Parenzo attraversa a grandi falcate sicure il palcoscenico e comincia da subito a scherzare con gli spettatori delle prime file, quasi fingendo d’ignorare di essere circondato da quattro grandi «sepolcri imbiancati». La scenografia è composta infatti da quattro oggetti coperti da bianche lenzuola che verranno svelati uno ad uno dal protagonista durante il trascorrere della serata.
Mentre la scena viene rivelata, il pubblico è accompagnato nella quotidianità ebraica attraverso il racconto beffardo e sarcastico delle sue tradizioni, racconti e festività.
Parenzo parte da sé, analizzando le origini del suo nome Davìd, dalla storia di un grande re ma anche di un essere umano con i suoi difetti e le sue debolezze carnali. È proprio grazie ai peccati del mondo, che appartenevano già ai progenitori biblici, che Davìd svela la presenza del Talmud sul palco e presenta così alcuni dei 613 precetti che normano il comportamento del «popolo amato da Colui che è».
Controllate da regole precise e da prassi da compiere meticolosamente sono anche le ricorrenze e i riti religiosi, che Parenzo descrive scherzosamente alla platea come occasioni tanto di festa quanto di sacrificio e tristezza, vissuti però nella gioia di una comunità unita, poiché nessun ebreo è solo nelle sofferenze tanto quanto non lo è nella salvezza.
La narrazione continua con l’analisi della morte e poi della nascita secondo la parola di Jahvè: buio e luce della vita di ogni uomo, in mezzo ai quali il popolo giudaico respira e ricorda una storia millenaria costellata di persecuzioni ma anche di grande tenacia e speranza. Parenzo, dopo essersi preso gioco dell’iper-regolata quotidianità della sua religione, cambia registro, presentando in videoproiezione uno stralcio di un’intervista di Edith Bruck, scrittrice sopravvissuta alla Shoah, che racconta di come la comunità ebraica sia riuscita ad intravedere la luce dell’esistenza anche nell’oscurità della morte nei campi di sterminio.
Così si conclude l’impertinente ed ironico viaggio all’interno dell’ebraismo che Parenzo compie in prima persona dove tradizione e contemporaneità si scontrano senza però allontanarsi mai.