La fusione di realtà e teatro nella mostra di Paolo Ventura
di Lorenzo Cazzulani
Paolo Ventura espone ai Bagni Misteriosi il suo «lavoro più teatrale». L’espressione utilizzata per definire l’esposizione artistica è delle più azzeccate, dal momento che il percorso costruito lungo il susseguirsi delle opere si configura come una vera e propria rappresentazione: lo spazio è riempito da una serie di figure, tridimensionali e bidimensionali, che guidano lo spettatore all’interno di esso, ergendosi plasticamente grazie al riuscito contrasto tra pittura e fotografia.
In particolare, le figure a due dimensioni risultano le più interessanti: in esse, infatti, pittura, realtà, fotografia e teatro danno vita a una mescolanza artistica, omogenea e disorganica insieme, che restituisce al fruitore una gradevole sensazione di compiuto equilibrio tra elementi distinti e unificati al medesimo tempo. I piani sovrapposti sono strutturati a partire da un fondo pittorico bidimensionale che evoca l’idea di un appiattimento un po’ degradato dal tempo: le strade e gli edifici rappresentati sono costruiti con pesanti pennellate a vista, colori sbiaditi e grigi, e un totale disinteresse per i giochi di luce, i quali renderebbero la composizione meno schiacciata di quel che sembra.
Il secondo livello stupisce per l’immediato cambio di registro: la pittura lascia il posto alla fotografia, capace di comporre la scena aggiungendo la presenza di una o più figure umane. La plasticità dei corpi fotografati acquista un particolare risalto complementare se accostata al fondo piatto della pittura sintetica dell’artista, che, a sua volta, appare ancora più livellato sull’assenza di profondità.
L’ultimo ordine dell’opera è forse il più sottile, ma si presenta come la chiave in grado di aprire l’intera esposizione artistica a una nuova prospettiva: la pavimentazione su cui è posto ogni ritratto fotografico è la medesima su cui lo spettatore cammina all’interno della mostra. Il bianco legno reale del pavimento e quello rappresentato si ricongiungono all’interno della costruzione creativa: l’architettura dello stand entra nelle opere oggetto dell’esibizione; contemporaneamente, invece, gli stessi elementi artistici escono dall’astrazione nella quale l’arte li ha confinati per entrare nella realtà del luogo in cui sono esposti.
L’allestimento è ben strutturato: la prima sala presenta, a grandezza considerevole, i dipinti che l’artista ha utilizzato come sfondo delle sue opere. La seconda stanza, invece, è un percorso in cui il fruitore naviga tra i lavori artistici. È proprio l’allestimento che dà vita alla teatralità della composizione: le creazioni sono alternate da una serie di costumi di scena, non disegnati ma esposti così come si presentano. Questi alimentano il senso di plasticità della mostra e, al contempo, la complementarietà tra teatro, realtà e arte: infatti, gli stessi abiti scenici sono indossati dalle figure poste all’interno delle composizioni, creando un amalgama che si sviluppa su differenti livelli intrecciati e sovrapposti. Paolo Ventura ha finemente tessuto una rappresentazione artistica che non si ferma alla semplice successione di diversi lavori, ma che ha l’ambizione di mescolarsi alla struttura stessa dell’architettura che li ospita, elevandosi su un piano meno convenzionale e sicuramente più stimolante.