Cartellone 2023 - 2024 / Teatro

Giacomo (Matteotti)

Un intervento d'arte drammatica in ambito politico

Cartellone 2023 - 2024 / Teatro

Giacomo (Matteotti)

Un intervento d'arte drammatica in ambito politico

In scena una tragedia, politica e antispettacolare, che ripropone le parole di Giacomo Matteotti nella loro nuda e terrificante verità.

Segretario del PSU dal 1922 al 1924, prima della presa del potere da parte del regime fascista in Italia, Matteotti morì a 39 anni assassinato da una banda di fascisti per ordine di Benito Mussolini.

Lo spettacolo mette a confronto due dei suoi interventi in Parlamento: quello del 31 Gennaio 1921, in cui denuncia le connivenze tra le forze politiche borghesi e le squadracce fasciste, e quello del 30 Maggio 1924, l’ultima seduta a cui Matteotti partecipò prima di essere assassinato, in cui contesta i risultati delle elezioni dell’aprile di quell’anno.

Si tratta di parole che, nella loro nuda e terrificante verità, impressionano per la spietata lucidità con cui il deputato socialista analizzava i fatti. Un invito a riflettere su alcuni valori quali la militanza politica, i diritti di cittadinanza, la possibilità di opporsi alla violenza fascista richiamando i valori di libertà e democrazia, ma anche sul ruolo del teatro nella società, in un modo in cui gli ideali diventano opera d’arte.

Ad interpretare Matteotti, Elena Cotugno che, come in un autentico rito teatrale, dà il suo “corpo laico” al discorso politico di Matteotti, quello vero, incisivo, che si fa destino nella vita degli uomini e storia in quella dei popoli.


La scena usata, essenziale e desolata, fatta di vecchi scranni parlamentari ricoperto di teli di plastica accatastati come in un naufragio, è l’immagine di un parlamento in dismissione, abbandonato dagli uomini e lasciato al suo disfacimento. Una scenografia incombente e volutamente sghemba, realizzata da Filippo Sarchielli, come a significare la deformazione della politica che diventa metodo di sopraffazione e illegalità. Così come fu esattamente il fascismo.

Simbolicamente rende bene il decadimento della qualità democratica. E restituisce in maniera plastica la situazione di questo Paese oggi.

Un superbo esempio di teatro contemporaneo che sa rivolgere lo sguardo sul nostro passato storico.

– Roberto Rinaldi, Rumorscena

A CENTO ANNI DALLA MORTE DI MATTEOTTI, frontman di un antifascismo ante-litteram. È morto da profeta, non da oppositore, quando il fascismo si stava trasformando in dittatura.

Un omicidio di stato voluto da Benito Mussolini che ne ordina il rapimento e l’uccisione per farlo tacere dopo le sue denunce per i brogli elettorali, avvenuti durante le elezioni del 6 Aprile 1924, e per la corruzione del governo fascista. Matteotti è un politico e un giornalista antifascista. Il 10 Giugno 1924 era uscito di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio.
Questa la dinamica del suo rapimento: «Mentre percorreva il lungotevere Arnaldo da Brescia, secondo le testimonianze raccolte, un’auto si era ferma ad aspettarlo. A bordo i suoi aggressori identificati, in seguito, come i membri della polizia politica di Mussolini: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Il ritrovamento del corpo di Matteotti fu del tutto casuale: lo annusò il cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza nei pressi delle campagne di Riano. Essendo trascorsi ormai due mesi dalla scomparsa, il cadavere era ormai in fase di decomposizione, quindi per il riconoscimento fu necessaria una perizia odontoiatrica».

Mussolini alla Camera si assunse la responsabilità politica del gesto rischiando di essere incriminato, ma così non accadde e poté proseguire nella sua folle dittatura.

Giacomo è un’impressionante seduta spiritica. Un morto senza giustizia si incarna in un attore-sciamano, che si lascia possedere dalle sue parole, dalla loro logica geometria […]. Quello del Teatro dei Borgia non è cabaret, non sono le pagliacciate del goffo esibizionista romagnolo. È la sfida di un uomo solo contro un regime.

– Oliviero Ponte di Pino, Ateatro


La nostra possibilità di ripensare alla figura di Matteotti è oggi esercizio di libertà […]. Cotugno con lo sguardo e la postura diagonali rispetto al pubblico, contrappone alle reazioni scomposte degli oppositori la razionalità del pensiero politico.

– Andrea Pocosgnich, Teatro e Critica


Sono parole potenti a cui l’attrice dona un cangiante registro vocale di grande impatto, ora sommessa, ora veemente: su una scena che ricostruisce (ma in posizione sghemba) i banchi dell’aula, usa magistralmente anche il corpo, ora ritta, ora supina, suscitando nello spettatore indignazione, strazio e pietà.

Mario Cervio Gualersi, Bebeez/arte


In Giacomo si assiste ad una rappresentazione che si fa portavoce di un sentimento di civiltà e di democrazia grazie ad una attenta costruzione dei dialoghi la cui abilità è data dall’interpretazione di Elena Cotugno nel rispondere al disegno registico di Gianpiero Borgia. […] Un teatro impegnato che vuole sondare tematiche politiche, […] un teatro che restituisce alla memoria una ferita inferta alla democrazia.

– Roberto Rinaldi, Rumorscena


Che la figura di Matteotti sia interpretata da una giovane attrice permette di allontanarsi da una rappresentazione meramente mimetica del personaggio storico, consentendo alle parole pronunciate di incarnarsi in un corpo vivo. La necessità di tornare a riflettere sui concetti di democrazia e legalità – ancora oggi rinegoziati e messi in dubbio – rende Giacomo uno spettacolo capace di creare un ponte tra passato e presente, fornendo allo spettatore una testimonianza documentaria stimolante e parlando in modo chiaro e diretto alla società contemporanea.

– Chiara Carbone e Alice Strazzi, Stratagemmi

GLI INTERVENTI

31 Gennaio 1921 – Matteotti denuncia le violenze fasciste; ammette che anche dalla sua parte ci sono state azioni violente: «può essere avvenuto che la teorizzazione della violenza rivoluzionaria, che mira a sopprimere lo Stato borghese, e a sostituire lo Stato socialista, possa avere indotto taluni nell’errore di azioni episodiche di violenza». E conclude con l’attacco al Partito fascista: «Oggi in Italia esiste un’organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione e nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi. È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile». Accusa di complicità «di tutti questi fatti di violenza» anche l’allora presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, che lo interrompe seccamente.


30 Maggio 1924 – È la prima riunione della nuova Camera, chiamata ad approvare il risultato delle elezioni dell’aprile precedente (le ultime multi-partitiche, svolte con la legge Acerbo, proporzionale con premio di maggioranza). Il neo presidente dell’assemblea, Alfredo Rocco, propone a sorpresa la convalida in blocco dei deputati eletti per la maggioranza. Le opposizioni sono spiazzate. Matteotti interviene a braccio, raccoglie le sue poche carte e chiede di parlare. Contesta la validità delle elezioni, dice che si sono svolte sotto la minaccia «di una milizia armata» al servizio del capo del governo. «Va a finire che faremo sul serio quello che non abbiamo fatto» intima Roberto Farinacci a Matteotti. «Fareste il vostro mestiere», risponde lui. Conclude dopo un’ora, chiedendo di rinunciare alla violenza. A un collega che si congratula per l’efficacia del discorso replica amaro: «Però adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre». E qualcuno ha sentito Mussolini dire: «Quando sarò liberato da questo rompic… di Matteotti?».

30 Maggio 2024

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