Pandora: ma questo è un uomo
di Bianca Vittoria Cattaneo
«Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore/ menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta, […] /e chiamò questa donna/ Pandora, perché tutti gli abitanti dell’Olimpo/ l’avevano donata in dono, sciagura agli uomini laboriosi» (Esiodo, Opere e Giorni).
Riproposto da secoli e riscritto in infinte in varianti, il mito antico di Pandora presta ora il nome all’ultimo spettacolo della compagnia Teatro dei Gordi, che ci catapulta all’interno di un bagno pubblico. La metafora del celebre vaso ritorna durante tutta la messinscena: il palcoscenico stesso accoglie i difetti e i segreti dei personaggi come un grande contenitore all’interno del quale sono arginati i mali dell’umanità. A fine spettacolo il mitico otre arriverà a materializzarsi in un semplice cestino dell’immondizia: dal momento in cui gli occhiali del primo personaggio vi cadono all’interno, fino a quando vengono recuperati, in esso si riversano gli oggetti più disparati. C’è chi vi getta il manico di una valigia dopo un viaggio difficile, chi una ciotola ancora colma di cibo dopo una ricetta poco riuscita, chi una bottiglia d’alcool vuota, ma anche la cartaccia di una merendina proibita. Il bidone, raccogliendo gli scarti prodotti dall’essere umano che si muove nell’ambiente, una volta rovesciato rivela ciò che prima non era visibile: i rifiuti si spargono sul pavimento, e lì rimangono abbandonati, a schernire le sventure e i sentimenti nascosti dell’uomo, che tanto celati poi non sono.
In un indefinito bagno pubblico, una ben definita enciclopedia di personaggi mostra un frammento di sé. I molti tipi in scena sono così caratterizzati che, anche se compaiono solo per pochi minuti, sembra di poterne conoscere l’intera storia. In un moto di confessione corale, a volte sussurrano o urlano i loro dubbi, i loro errori, le loro ansie e le loro paure. Il pubblico accoglie come un dono questo sfogo, non si erge a giudice e non punta il dito. Non esistono Zeus o un Dio provvidenziale, non esistono il peccato né la lotta del Male contro il Bene, c’è solo la natura umana in cui gli spettatori si riconoscono. Risuona infatti instancabile la risata della platea che riempie lo spazio della Sala Grande per quasi l’intera rappresentazione. Risa entusiaste che accompagnano anche momenti in cui suonerebbero come una reazione inaspettata. Probabilmente il pubblico, consapevole delle proprie ansie e dei dolori in condivisione con i personaggi, è spinto dal bisogno di esorcizzare queste sensazioni, se ne libera nel modo più spontaneo ed efficace possibile.
I Gordi si lanciano e ci lanciano una sfida: fare luce su un luogo che di solito è buio (ma anche maleodorante, umido e sporco), in cui poter osservare non un’umanità degradata e disagiata, ma le sfide e le difficoltà che devono affrontare tutti gli uomini, collocandone il racconto in un ambiente in cui le debolezze si mostrano, non solo fisicamente, abbassando i pantaloni o alzando le gonne, ma anche metaforicamente.
Pandora approfitta della vulnerabilità dell’essere umano per raccontarne le imperfezioni grazie a una messinscena che alterna sapientemente il comico al drammatico, lasciando a fine spettacolo un sincero e divertito sorriso sulle labbra degli spettatori.