Auschwitz non finisce mai – Gabriele Nissim racconta i “Giusti”
a cura di Claudio Ricci
Il 9 maggio si è tenuta, presso la Sala Grande del Teatro Franco Parenti, la presentazione del nuovo libro di Gabriele Nissim, Auschwitz non finisce mai. Le persone accorse all’incontro con lo scrittore milanese hanno riempito quasi totalmente i posti della platea del teatro.
Dopo l’introduzione della direttrice Andrée Ruth Shammah, ha preso la parola il filosofo Haim Baharier, che ha presentato il lavoro di Nissim attraverso un elogio della gratitudine, prezioso valore che lo scrittore ha lasciato tra le pagine del suo libro. Ripercorrendo il mito religioso di Adamo ed Eva, Baharier ha parlato di quanto l’ingratitudine dell’uomo, la stessa che Adamo ha mostrato verso il Creatore, rappresenti il vero peccato originario.
Dopodiché la storica Anna Foa e il professor Francesco Cataluccio hanno analizzato la straordinaria importanza di ciò che emerge dal libro di Gabriele Nissim. Dalle loro parole si evince come l’opera non tratti la Shoah da un punto di vista storiografico, né come una cassaforte per salvaguardare l’identità degli ebrei, ma come la memoria di quella tragedia si trasformi in una lente di ingrandimento per riconoscere il male ovunque esso si manifesti. Non esiste alcuna gerarchia del dolore e della crudeltà che pone al vertice lo sterminio degli ebrei; vi sono orrori nascosti, privi del loro processo di Norimberga, che continuano ad alimentare il seme maligno della noncuranza.
La riflessione di Nissim, fondatore e presidente della Fondazione Gariwo, riprende questa concezione e parte dalla consapevolezza che la dimensione della battaglia della memoria sia la stessa per ogni popolo che ha subito delle atrocità di massa. Il passaggio dalla rivendicazione della giustizia personale a quella universale – dice poi Nissim – è un percorso assai tortuoso e la memoria di qualsiasi strage deve diventare uno strumento per la prevenzione dei genocidi.
Nissim ricorda Raphael Lemkin, uno degli uomini “Giusti” elogiati dalla Storia, avvocato polacco che ha coniato il termine “genocidio”. Egli, a seguito dell’uccisione della sua famiglia nei campi di concentramento, ha intrapreso una battaglia per dare senso alla tragedia vissuta. Lemkin è stato capace di prendersi delle responsabilità a livello internazionale e ha cercato di convincere, come un’Antigone alla ricerca di uno spazio di ascolto e di diffusione delle idee, giornalisti e politici a diffondere la sua visione di pace mondiale. Lemkin simboleggia l’individuo che, senza alcun sostegno politico ma con la sola forza di volontà, è riuscito a rendere concreta la propria visione.
Tenendo a mente le riflessioni e gli interrogativi di altre figure di rilievo quali Simone Weil, Hannah Arendt, Primo Levi e Yehuda Bauer, questo libro ci riporta, dunque, a considerare che il male è una scelta e non ha carattere metafisico, ma nasce dalla libera coscienza degli esseri umani.