Façons d’aimer di Tarnagda: un processo dell’Africa e all’Africa
di Chiara Carbone
Può essere chiamato amore quello di una madre che non riesce ad accettare di avere una figlia mancina e che, pur di costringerla a usare la mano destra, le riempie di peperoncino i tagli sulla sinistra? O quello di un padre che violenta una figlia che in tal modo, per la prima volta, si sente amata e desiderata? O ancora quello di un marito poligamo che abbandona la casa per farvi poi ritorno con una quinta moglie, bianca, nei cui confronti la moglie precedente deve fingersi cugina e farsi sua schiava?
Lo spettacolo del drammaturgo burkinabè Aristide Tarnagda racconta di questi ‘modi d’amare’, di questi – come recita il titolo –Façons d’aimer. Lo spettacolo, parte della programmazione del festival Presente Indicativo organizzato dal Piccolo Teatro in onore di Giorgio Strehler, è ospitato nel foyer del Teatro Franco Parenti l’11 e 12 maggio 2022. Lo spazio è volutamente essenziale; i pochi e semplici oggetti di scena (un seggio, due tavolini, un posacenere e qualche ammennicolo sacro posato su di essi) quasi spariscono al cospetto della presenza fisica ed emotiva delle due attrici, Edoxi Gnoula e Safourata Kabore. Le performer sono di volta in volta una madre e una figlia, una moglie e un marito, una donna e il tribunale che la condanna; sempre in due anche quando l’altra parte sembra totalmente assente e incapace di ascoltare.
In scena c’è sempre una relazione, un rapporto, una comunità, sia essa la famiglia, la collettività delle donne o l’Africa intera. Questa coralità non abbandona nemmeno la voce della protagonista quando, al cospetto del tribunale, è condannata per aver accoltellato il marito e la sua nuova moglie: è infatti tramite la sua bocca che parla tutta l’Africa bistrattata ma resiliente, mancina e superstiziosa, impossibile da sconfiggere come i branchi di cagne randagie delle periferie, per usare la potente metafora di Tarnagda. La magistrale drammaturgia vuole mettere in mostra l’alterità del mondo da cui proviene (come è evidente soprattutto in un intermezzo comico in cui le due attrici imitano parodicamente gli stereotipi di alcuni stati dell’Africa) ma tocca, al contempo, corde emotive assolutamente universali. In un’ora, tramite una recitazione intensa ma fluida, si affastellano una sull’altra suggestioni, immagini, temi e storie come se il tempo non fosse abbastanza e ci fosse ancora troppo da dire. Dare voce a una donna vuol dire portare sul palco, del tribunale e del teatro, la storia di un’intera collettività.