A spasso con Daisy
di Chiara Narciso
Una serie di quadri che si susseguono partendo dal 1948 per restituire al pubblico l’immagine di un’America lontana, alle prese con la fine della Seconda Guerra Mondiale. Questo è il contesto nel quale si sviluppa A spasso con Daisy, per la regia di Guglielmo Ferro, in scena dal 25 al 30 ottobre nella Sala Grande del Teatro Franco Parenti. Daisy, interpretata da Milena Vukotic, si rivela attraverso piccoli e quotidiani scorci della sua vita, che lo spettatore ammira incuriosito quasi come un voyeur. La sua storia è quella di una donna anziana, dal carattere deciso e a tratti permaloso, che non manca di vantare il suo passato da insegnante. La questione che dà il via allo spettacolo è una bagarre tra la donna e il figlio che, preoccupato per l’età ormai avanzata della madre, vuole convincerla a tutti i costi ad ingaggiare un autista.
Daisy viene affiancata sulla scena da Maximilian Nisi e Salvatore Marino, che interpretano rispettivamente il figlio Boolie e l’autista Hoke. Queste due figure orbitano intorno alla protagonista permettendo al personaggio di caratterizzarsi sempre di più e di crescere, in un romanzo di formazione che evolve con il contesto storico. Ad emergere nell’adattamento di Mario Scaletta sono alcuni temi ancora oggi rilevanti, come ad esempio quello del razzismo, grande piaga in un’America che discrimina rispetto al colore della pelle. Spesso è proprio Hoke a farlo notare: in uno dei lunghi viaggi in auto con la signora Daisy esordisce ricordando che nei bagni dell’autogrill possono entrare solo i bianchi. Le convinzioni e i pregiudizi razziali che incorrono nel rapporto tra Hoke e i suoi datori di lavoro, ebrei, si smorzano con il progredire della narrazione.
In una scoperta reciproca tra due individui apparentemente molto distanti, A spasso con Daisy indaga anche i rapporti di amicizia nell’età avanzata. Inizialmente la signora non vuole un autista: desidera infatti mantenere la sua indipendenza e non far intuire agli altri il proprio benestare. Ma successivamente Hoke riesce ad avvicinarla con fare ironico e servizievole grazie a uno scambio reciproco di confidenze che appartengono al passato dei due. Dall’ultima auto regalata a Daisy dal marito a cui è terribilmente affezionata, al fazzoletto impregnato del profumo della moglie di Hoke, che di tanto in tanto avvicina al proprio viso, la scoperta di piccole e tenere fragilità caratterizza il percorso di invecchiamento che i due condividono fino al naturale decadimento delle condizioni fisiche.
Fondamentale la scenografia, che alterna gli interni della casa di Daisy alle immagini delle strade percorse in macchina insieme a Hoke, con dei piccoli espedienti che trasformano un soggiorno in un’auto. A raccontarci gli anni che passano attraverso notizie storiche e musica è una radio posta lateralmente che, illuminata sullo sfondo nero, fa da raccordo tra le diverse scene. Responsabile dell’articolazione del rapporto tra Daisy e Hoke è Boolie, che nel succedersi delle scene appare quasi come una voce fuori campo interpellata solo in alcuni momenti critici. Se all’inizio è la figura del figlio a predominare nella scelta dell’autista e nelle decisioni fondamentali, è il rapporto tra Daisy e Hoke a divenire protagonista nel corso della narrazione. Una riflessione su diversi spunti attuali: dalla mutazione del rapporto genitori-figli, al lavoro di emancipazione di alcuni popoli.
A chiudere il sipario è infine una scena commovente che vede Daisy in una casa di riposo. A farle visita è ancora Hoke, dopo più di vent’anni di servizio, che con con il suo gesto dimostra di saper incarnare l’idea di amicizia ribadita dalla sua cara Daisy, alla base della quale vi è la messa a disposizione nei confronti dell’altro.