Qual è La regola dei giochi?
di Angelica Ferri
La regola dei giochi, in scena al Teatro Franco Parenti dal 21 al 26 marzo, si compone di due episodi: Ucronia. O va tutto bene e Soldato. Queste storie, senza troppa gentilezza, invitano il pubblico a salire su una macchina del tempo impostata direttamente sui primi decenni degli anni 3000 e mostrano una realtà, purtroppo, già tangibile mille anni prima.
Stiamo festeggiando il quinto anniversario della fine della terza guerra mondiale, la vittoria americana e quindi anche la caduta dell’impero degli occhi a mandorla: al centro del palco c’è un ottagono luminoso e al suo interno è intrappolata una donna, vittima serena di un mondo fatto di agi tecnologici, amici digitali e salute innaturale. Attorno a questa prigione a led chiamata Google Nido gravita il Google Amico, un essere su pattini a rotelle che controlla e intrattiene la sua prigioniera.
Cantami, o Matricola 348HI, delle infinite gesta compiute dalla Santa Cattolica Unione degli Stati Uniti del Mondo, della vittoria dell’America sulla Cina e della creazione del mondo perfetto. La bambola racchiusa all’interno del nido comincia così a raccontare al suo Google Amico di quanto sta bene in sua perenne compagnia e di come il mondo è finalmente arrivato alla pienezza. Nessuno ha più un nome, gli esseri viventi sono comodamente riconosciuti attraverso codici di immatricolazione; il sole, che provocava tumori, per fortuna è stato spento; la foresta amazzonica è stata sostituita dai comodissimi Google Polmoni e l’aria è purificata dalle nuvole-spugne che assorbono lo smog.
Anche i poveri non sono più un problema: lavorano tutti sottoterra nelle fabbriche, così non contaminano l’umanità con le loro malattie e nessuno li vede. Il presidente degli Stati Uniti del Mondo, grande detentore di tutti i poteri temporali e spirituali, ha risolto anche il problema dello scioglimento dei ghiacci: i poli sono stati totalmente squagliati e l’acqua è stata convogliata tutta sull’Africa così anche gli animali del mare si sono potuti nutrire a sazietà e ora la carne dei pesci è tenerissima.
Adesso sì che si può finalmente vivere sereni, senza dover lavorare e senza dover pensare. In questa Ucronia del nostro mondo va tutto bene e la guerra finalmente ha portato la pace che tanto cercava. Un pacco Amazon però irrompe in scena. Il Google Amico lo ritira e, come un soldato efficiente che conosce il suo compito anche senza che nessuno glielo ordini, inserisce al suo interno il corpo della prigioniera dopo averla prima riempita di complimenti e poi stordita a suon di mazzate.
È attraverso questa parte iniziale dello spettacolo che Anton Giulio Calenda comincia a costruire un mondo parallelo che parla alla nostra realtà contemporanea di «futuri fin troppo presenti». La scena in pochi minuti si trasforma e da una quotidianità patinata si passa alla cruda vita della trincea. Il palcoscenico è ora calcato pesantemente da due Soldati, obbligati a marciare senza fine e senza un apparente scopo. Il nemico non si vede e non si sente, ma i capi continuano ad inviare dispacci in cui ordinano di proseguire con il cammino al fine di distruggere gli avversari e togliere loro ogni genere di libertà.
La protagonista di questo racconto è la dialettica: le domande di Soldato Semplice, pieno di dubbi e speranze, sono rivolte a Sergente, ormai disilluso e schiavo della volontà dei capi. Il dialogo serrato tra i due delinea una realtà in cui la guerra è mesta consuetudine e il cui unico scopo finale è quello di annientare la fantasia e la capacità di pensare senza un ordine dall’alto.
È la nascita del figlio di Soldato che sovverte l’ordine precostituito e crea in lui un nuovo pensiero: si può smettere di marciare e sognare un mondo diverso, in cui il nemico non esiste e non esistono neanche capi a cui rendere conto di ordini senza senso. Questo pensiero è insostenibile per il Sergente, che non può accettare che Soldato trasgredisca i comandi e vada oltre la realtà: con un colpo di fucile, sparato alle spalle, Soldato muore e con lui muoiono anche tutte le speranze di evasione e sovversione.
Grazie alla magistrale drammaturgia di Anton Giulio Calenda e alla precisa regia di Alessandro Di Murro, La regola dei giochi interpreta la disperazione umana attraverso un nuovo modo di fare teatro, trasportando gli spettatori su un pianeta in cui umanità non è più sinonimo di benignità ma si avvicina di più al suo contrario spietatezza.