Due generazioni
di Lorenzo Cazzulani
Tchaïka è uno spettacolo incentrato sul peso della vecchiaia. Un’anziana attrice soffre la delusione di sentirsi messa da parte da chi è più giovane di lei, più forte, più ambizioso; il rifiuto di accettare gli anni ormai trascorsi della sua vita, la spingono verso la consapevolezza di un’amara realtà, ovvero comprendere, una volta per tutte, di dover fare un passo indietro e cedere il posto a una nuova generazione.
Lo spettacolo è costruito attraverso concetti e impostazioni minimali: la presenza umana sulla scena è una sola, e non, come sarebbe logico intuire, quella di un’anziana attrice, esperta e carismatica; bensì quella di una giovane interprete, straordinariamente abile nel maneggiare alla perfezione il manichino, curato fin nei minimi dettagli, che impersona una vecchia stella della recitazione, oramai incamminata sul viale del tramonto.
Regia e luci vengono adoperate senza sbavature; la delicatezza con cui si muovono nasconde quasi la loro stessa presenza, tanto da scomparire nell’economia della messinscena, fondendosi omogeneamente agli altri elementi che compongono la rappresentazione visiva restituita al fruitore dell’opera. La luce diviene precisa e penetrante nei momenti più significativi; essa illumina il tavolo, ricoperto da un pesante telo bianco, tanto da evocare un magazzino ricolmo di roba dismessa; e così la vecchia poltrona in velluto; entrambi gli oggetti emergono con l’ausilio del fascio luminoso, balzando in primo piano, mentre il resto ricade nel buio dello sfondo. La polvere soffiata dalla sola attrice presente sul palco, in un istante carico di plasticità visiva all’interno della rappresentazione, diviene per un momento la protagonista assoluta, toccata dal fascio luminoso che ne fissa l’immobilità sulla scena. Un attimo di silenzio: la sala intera respira profondamente l’immagine prodotta dal connubio di luci, recitazione e polvere che si alza verso il soffitto del teatro.
Inserito nel contesto rappresentativo della “Grande età”, Tchaïka restituisce ottimamente l’idea di una fase decadente della vita fisiologica umana, la terza età, carica di tensioni agrodolci. Lo schema recitativo, secondo cui l’attrice in scena è legata fisicamente dietro all’anziana marionetta di cui tira i fili, mette in mostra l’immagine di come ci sia una generazione nuova pronta a soppiantare quella precedente; letteralmente, dalla schiena della vecchiaia nasce una nuova vita, una nuova prospettiva e nuove ambizioni.
Resta forse sullo sfondo il giudizio complessivo con cui la messinscena valuta la fase anziana della vita; un giudizio che non emerge mai in primo piano, rimanendo ambiguo e inafferrabile. Tuttavia, è probabilmente lo scopo ultimo dell’opera: riflettere sull’esistenza umana, precisamente su di un particolare scorcio, astenendosi dal giudicare.