Scritta da Molière nel 1666, «Il misantropo» (sottotitolo «L’atrabiliare innamorato», la malinconia come categoria dello spirito) è un grande classico di cui si sono innamorati i grandi, da Copeau a Jouvet. Ora, 46 anni dopo l’edizione con Parenti, torna nel suo teatro con la doppia volontà di Andrée Shammah, regista, e Luca Micheletti, acclamato attore-baritono (è appena stato Figaro alla Scala) che ha fortemente voluto questo testo di cui continua a chiedersi le ragioni. «La prima vittima del misantropo — dice — è lui stesso, perché sprovveduto di fronte alle passioni. Malinconia ed eros sono stati legati a filo doppio fino a Freud. La lotta di Alceste è nobile, lottare contro se stessi è il primo gradino dell’elevazione spirituale, ma mondo e sentimento non riescono a stare insieme». Complicato capire con chi ce l’avesse l’autore: i marchesini imbecilli, i pettegoli? Regista e attore concordano: «Opera misteriosa e piena di ombre, dramma serio e farsa, molte cose insieme, tutto e il contrario di tutto: noi la accettiamo così e non vogliamo dar giudizi».
«Molière è attuale — dice Shammah— non ha bisogno di attualizzazioni, lo sforzo è alzarsi noi verso il capolavoro, con la traduzione in rima di Valerio Magrelli e una magnifica compagnia, non tirarlo verso di noi: punto d’arrivo della mia idea di teatro in cui metto freschezza, entusiasmo e felicità […] Alceste ha una disperata vitalità ma è solo davanti al potere, davanti ai benpensanti, solo a cogliere la follia di chi lo circonda. La trama è la sua evoluzione, nessuno ha ragione o torto, esploriamo ogni punto di vista, ogni parola, scoprendo lati oscuri, lasciando intatta la complessità».
– Maurizio Porro, Corriere della Sera
Personaggio gigantesco, Il misantropo, protagonista di quello che forse può essere considerato il capolavoro di Molière, il più disincantato e il più tragico, ma anche il più comico, un classico del ‘900 scritto tre secoli prima, per dirla con Cesare Garboli. E solo per Alceste, o quasi, Luca Micheletti torna alla prosa prendendosi una pausa dalla sua agenda di star della lirica, baritono in formidabile ascesa sui palcoscenici di mezza Europa che ritrova Molière nello spettacolo diretto da Andrée Ruth Shammah: «Andrée mi ha aiutato a piegare l’orecchio su queste pagine sublimi, sulla loro lingua ammaliante e preziosa». Lingua perfettamente restituita dalla traduzione di Valerio Magrelli, «in versi settenari, quindi in rima, porta a un rigore e a un’armonia che non richiede nessuno sforzo per essere ascoltata — aggiunge Shammah — Molière non ha bisogno di attualizzazioni o di scorciatoie. Bisogna alzarsi verso i capolavori, non abbassarli verso di sé».
[…] La parabola di Alceste, alfiere nevrotico di un’etica troppo rigorosa, prende vita sulla scena disegnata da Margherita Palli che ricalca la sala prove portando in primo piano il farsi del processo teatrale, colorato dai costumi di Giovanna Buzzi dove il nero di Alceste esplode in contrasto al giallo oro, al verde, al turchese degli altri personaggi. […] A suo modo un eroe, Alceste, per quanto patologico. Combatte solitario lo spirito del tempo e i suoi cicisbei, ma non sa trovare il proprio posto nel mondo. È il ridicolo della virtù portata a un estremismo incompatibile con il consesso umano, di cui rivela le manchevolezze e falsità. […] Una commedia che è satira sociale, arringa filosofica, indagine psicologica, macchina comica. «Inutile pretendere di trovare il bandolo di una matassa il cui fascino maggiore sta proprio nell’intrico che propone». Quasi psicanalitico, qualche secolo prima di Freud e Lacan. Alceste emette sentenze sui suoi simili, ma non è quello che fa Molière, quando ce li restituisce sul palcoscenico della vita. «Nessuno ha ragione, nessuno ha torto, la trama si compone assecondando l’evoluzione dei personaggi— conclude Shammah — credo che in questa straordinaria esplorazione dell’animo umano senza volontà di giudizio risieda l’essenza del teatro».
– Sara Chiappori, la Repubblica
[…] Uno spaccato impietoso della società barocca. […] Con tutti i suoi personaggi incipriati, “indaffarati senza aver nulla da fare”, Il misantropo rinuncia alla comicità dirompente tipica dell’autore francese. È un lavoro “al presente”, violento, potente, perturbante. Una commedia tragica, venata di una forma di umorismo instabile e pericolante, che porta in sé, appena al di sotto della superficie comica, le vive ferite e il prezzo altissimo costato al suo autore: in essa emergono le nevrosi, i tradimenti, i dolori di un personaggio capace di trasformare tutto il proprio disagio e la propria rabbia in una formidabile macchina filosofica, esistenziale e politica, che interroga e distrugge qualunque cosa incontri nel suo percorso.
– Linkiesta
«Un classico perfetto, perché è indubbiamente attuale. E se Molière è attuale e contemporaneo, se è il gigante del teatro che tutti riconoscono, non serve che i suoi personaggi parlino secondo il linguaggio di oggi». Andrée Ruth Shammah va dritto al punto per spiegare Il Misantropo, che parlerà in versi con costumi d’epoca e una scatola scenica essenziale dove il salotto della buona società diventa specchio di un’epoca. Qui si muove Alceste (Luca Micheletti), puro e scomodo, implacabile critico delle ipocrisie di un mondo nel quale, però, l’oggetto del suo amore, Célimène (Marina Occhionero), si muove come un pesce nell’acqua. Molière, attraverso Alceste, dà uno spaccato impietoso della società barocca. In tutto questo, la scelta di Luca Micheletti – attore, regista, cantante lirico di levatura internazionale – è secondo Andrée Shammah: «La dimostrazione che non ci sono confini all’interno del teatro».
– Ferruccio Gattuso, Leggo
[…] Il protagonista, Alceste, interpretato da Micheletti, è un giovane rabbioso di sincerità, calato in un mondo ipocrita e ciarliero, il mondo che permette il nascere di chi come Tartufo prospera in un clima di ipocrisia. Ha una sua dirittura morale, un suo rigore intransigente, pretende di dire sempre la verità, anche quando è scomoda. Alceste è un isolato, che scava intorno a sé un abisso incolmabile, nel quale finisce con lo sprofondare anche il suo amore per Célimène, la civettuola per antonomasia, interpretata da Marina Occhionero, leggiadra e superficiale, che accetta le lusinghe di tutti. Questa “signora dei salotti” è attorniata da una corte mondana, composta da Philinte, Angelo Di Genio, Oronte, Corrado D’Elia, Basco, Andrea Soffiantini, Eliana, Maria Luisa Zaltron, Clitandro, Filippo Lai, Lacasta, Vito Vicino, Orsina, Emilia Scarpati Fanetti, Du Bois, Pietro De Pascalis, il Secondo Servitore, Matteo Delespaul, e la Guardia, Francesco Maisetti.
Il personaggio di Célimène non vuole rinunciare a niente, né all’amore esclusivo di Alceste, né al gioco seduttivo della sua schiera di pretendenti. Alceste, d’altra parte, s’impegna in una lotta che combatte nella solitudine del suo orgoglio, sorretto da una fede cieca nella bontà delle sue idee. Tappa per tappa, finisce con lo scoprire che non c’è posto per lui in quel mondo; è la fine dell’utopia della verità, il naufragio di un’idea, piuttosto che un volontario isolamento.
– Tgcom24.mediaset.it