Tutti non ci sono: il racconto delle patologie psichiatriche di Dario D’Ambrosi
di Chiara Narciso
Cos’è la normalità e cos’è invece la follia? Tutti non ci sono è uno spettacolo ideato da Dario D’Ambrosi, andato in scena per la prima volta al MaMa Experimental Theatre di New York, nel 1980. Ritorna al Teatro Franco Parenti riproponendo una riflessione che a noi pare lontana, affrontando la questione dei manicomi, chiusi in Italia nel 1978 a seguito della Legge 180 di Franco Basaglia. Ancora oggi, in alcuni Paesi, le persone affette da disabilità psicofisiche o motorie vengono estraniate rispetto al resto della comunità, poste in edifici appositi, senza mai poter interagire con i normodotati. D’Ambrosi immagina e contestualizza l’uscita dalle case di cura dei pazienti che incontrano una società difficilmente avvezza ad accogliere la diversità. La comprensione vicendevole tra i due fronti è complessa e il processo di reinserimento, quando possibile, è faticoso.
Il protagonista è interpretato dallo stesso D’Ambrosi, che sgattaiola nella sala con la sua veste da ospedale psichiatrico (ciabatte, pigiama e camicione bianco) ed è accompagnato dal suo fedele amico, Alfredino. Questo non è altro che un uccellino messo in una gabbietta che il personaggio porta costantemente con sé e con il quale intrattiene una conversazione; peccato però che possa vederlo solo lui. Il pubblico rappresenta invece la società fuori dagli ospizi e ha effettivamente un ruolo attivo nella rappresentazione, essendo chiamato a confrontarsi con un altro tipo di realtà. L’attore, infatti, si avvicina agli spettatori per presentarsi; affida loro il suo Alfredino e ancora dopo si fa accendere una sigaretta. A distrarlo costantemente però è quella vocina che ronza nella sua testa: è nato così, spiega, e si chiede perché sia toccato proprio a lui. Nel frattempo, lottando contro quel suono fastidioso, cerca di zittirlo e contrastarlo con fatica, nonostante le pillole di tutti i colori che gli ha prescritto il dottore.
Lo spettacolo è guidato dalla reazione del pubblico agli atteggiamenti del personaggio e mentre qualcuno è più timido e quasi spaventato, altri lo spiazzano, chiedendogli per esempio quale sia il suo nome. Il protagonista continua a voler tornare in manicomio, da dove è stato mandato via. Lì infatti ci sono i suoi amici con cui ha condiviso tutto. Ricorda in particolare un episodio in cui i medici sezionavano il cervello del suo compagno di stanza per studiarlo, stessa sorte che toccherà a lui, a causa della sua irrequietezza.
L’associazione Teatro Patologico festeggia i 40 anni dalla sua fondazione. Di particolare rilevanza è il percorso universitario ideato da Dario D’Ambrosi, che coinvolge gli studenti affetti da patologie fisiche o mentali in un corso di laurea per operatori teatrali.