Vite amare, a casa Weston
di Claudia Maria Baschiera
In uno studio buio e spoglio, illuminato da una piccola lampada da tavolo, l’anziano Beverly Weston intervista una ragazza per un lavoro da governante e badante per la moglie Violet, malata di cancro alla bocca. Il rapporto tra i due sarebbe insopportabile, se non fosse che i due abbiano implicitamente stretto un patto di civile convivenza, seppur malsana, secondo cui a lei è permessa la dipendenza dagli analgesici e al marito è concesso l’alcolismo. È questo solo il prologo di una storia che inizia proprio quando il vecchio Beverly, nemmeno una settimana più tardi, scomparirà in mare, causando il ritorno a casa Weston – abitata dai due coniugi, dalla figlia Ivy e dalla badante Johnna – delle altre due figlie, Barbara e Karen, e delle loro famiglie. Insieme a loro, la famiglia della sorella di Violet contribuirà a rendere la situazione sempre più delirante.
Agosto a Osage County, il cui titolo proviene da una poesia di Howard Starks (fonte di ispirazione per la trama dell’opera di Tracy Letts), è una pièce priva di conforto, nella quale ogni scena è preludio di una condizione familiare sempre più confusa. La Waste Land, titolo del poemetto di T. S. Eliot continuamente citato da Beverly e a lui associato dagli altri membri della famiglia, non è solo la desolata contea di Osage, ma è anche l’aridità sentimentale alla base di ognuno dei rapporti messi in luce sul palco. Le soventi (soprattutto nella prima metà dello spettacolo) scene comiche danno respiro ad un dramma impietoso di una famiglia nevrotica e irrazionale, che non può conoscere altro se non lutti, rimorso e segreti che non dovrebbero essere rivelati.
Filippo Dini dirige (e recita, interpretando l’ex marito di Barbara) una messinscena grottesca, comica e tragica allo stesso tempo, storia di una famiglia che potrebbe ricorrere al dialogo e alla sincerità e che invece si rifugia nei giochi psicologici, nelle manipolazioni e nelle manifestazioni di potere. Il regista svela così, con riso amaro, le maschere che a lungo vengono indossate dai personaggi sulla scena, incarnati da attori che interpretano i ruoli loro assegnati in modo realistico, mai eccessivo. Spiccano soprattutto le interpretazioni di Anna Bonaiuto (Violet) e Manuela Mandracchia (Barbara), che vestono i panni di un’anziana manipolatrice che non sa cosa voglia dire l’affetto e di una figlia che ha sempre vissuto in antitesi alla madre ma che ora comincia a scendere nella stessa follia.
«La vita è lunga», affermava Beverly nel prologo, citando nuovamente T. S. Eliot: lo è davvero, soprattutto se si vive in una famiglia come quella dei Weston.