Chi come me – Ode al potere terapeutico del teatro
di Anna Farina
In una incerta primavera milanese al Teatro Franco Parenti si compiono due atti di nascita. Quello dello spettacolo Chi come me, regia di Andrée Ruth Shammah, e quello della sala in cui va in scena, la sala A2A.
Shammah annuncia anche che questa creazione artistica sarà anche l’ultima che firmerà in veste di regista. Senza rammarico, dice. Crede nel progetto e nei suoi sviluppi che la terranno occupata fino alla soglia degli ottant’anni.
Del resto, non vi è modo più ottimista e generoso sulla scena dei giovanissimi esordienti (Chiara Ferrara, Samuele Poma, Alia Stegani, Amy Boda, Federico De Giacomo), accompagnati nel loro percorso da attori affermati che con la regista hanno condiviso più di un viaggio.
Il testo di Chi come me è firmato dall’autore Roy Chen. Nato dalla testimonianza di un laboratorio teatrale all’interno di un reparto psichiatrico per adolescenti, la drammaturgia riporta la verità e la potenza dei protagonisti con intelligente e cruda ironia.
Ognuno dei pazienti è il corpo di storie intime e diverse, il corpo di fragilità e forze che vivono sotto la lente d’ingrandimento dello psichiatra direttore del reparto (Paolo Briguglia). Il momento di riscatto per questi giovani è la scoperta, attraverso il teatro e la loro insegnante, la signorina Dorit (Elena Lietti), di non essere soli nelle proprie sofferenze. A fronte di genitori (tutti interpretati da Sara Bertelà e Pietro Micci) che tentano di fare ciò che possono per i propri figli, ma senza essere davvero disponibili al dialogo, i ragazzi trovano forza nel riconoscersi come comunità. Anche il pubblico è invitato a specchiarsi e riconoscersi nelle storie rappresentate, sia perché parte della scenografia è incastonata nelle gradinate della platea, sia perché partecipa agli stessi esercizi teatrali dei giovani protagonisti.
La regia crea una vera coesione del gruppo di attori, che si supportano sulla scena. Da ciò emerge sicuramente che il conflitto e la solitudine si possono risolvere solo dove sia realizzabile un vero dialogo. E questo spazio, dopotutto, sembra ancora essere quello – sia fisico che concettuale – del teatro.