Quant’è difficile essere il figlio
di Margherita Mortara
Da un lato il salotto del padre, dall’altro quello della madre. A separarli, un semplice pannello che scorrendo conduce da una casa all’altra, due tipici ambienti borghesi scelti per fare da scenario ad un dramma familiare.
Tutto è normale in questa storia orchestrata dalla regia di Pietro Maccarinelli: dall’arredo agli abiti dei personaggi, dal divorzio che frattura una piccola famiglia ai problemi adolescenziali che Nicola (Giulio Pranno), il figlio, si trova ad affrontare. Nulla sull’aprirsi della vicenda colpisce lo spettatore facendogli presagire come potrà evolvere.
Nicola lamenta un profondo disagio davanti al quale i genitori, in difficoltà, adottano due strategie diverse. Sua madre Anna (Galatea Renzi) non riesce a spiegarsi da dove gli derivi una così profonda malinconia, così si cruccia e lo asseconda: lascia che Nicola si trasferisca a casa del padre, subisce silenziosamente un secondo, doloroso abbandono e infine rimane sola. Piero (Cesare Bocci), il padre, tenta invece di imporsi: Nicola è accolto in una casa che non è solo di Piero, ma anche della sua nuova moglie e del suo secondo figlio neonato. Come mosso da una cecità sorda, Piero ricerca le cause della sofferenza di Nicola all’esterno. «Per me c’è di mezzo una ragazza»: questa la frase che ripete più volte a se stesso e all’ex moglie, senza che lo sfiori mai l’idea di aver inferto proprio lui il colpo più duro al figlio.
Così, Piero agisce da padre, si cala nella parte e assume il suo ruolo autoritario: sgrida Nicola, lo mette alle strette, si arrabbia. Fino a qui, tutto normale. Litigano, i toni si alzano, si mettono le mani addosso. Ecco che la situazione inizia a precipitare e diventa immediatamente chiaro che quelli di Nicola non sono solo capricci. Il figlio parla una lingua estranea a quella dei genitori e, pur tentando diversi approcci, rimane prima inascoltato e poi incompreso fino alla fine. Oscilla dal tono lamentoso a quello infastidito; si mostra gentile e riconoscente e subito dopo incattivito e ostile; ha fasi depressive in cui non riesce a reagire, per poi ridestarsi all’improvviso, ma solo per scoprire che il suo incubo non è ancora terminato. Bisogna attendere che la vicenda sia già ampiamente sviluppata perché diventi chiaro che ad affliggere la mente di Nicola è una malattia. Con questa scoperta si accede a un nuovo ambiente: l’ospedale.
L’ultimo episodio della trilogia di Zeller dedicata alla famiglia porta lo spettatore a interrogarsi su quanto sia sottile la linea fra un atteggiamento, una posa e un sintomo: fino a che punto si possono confondere? L’esito della vicenda fa supporre che forse non esiste una risposta, perché quando una malattia si insinua in una mente, ha la capacità di offuscare anche le menti di chi malato non è. Per uscirne, le opzioni considerate sono poche: disperarsi, oppure provare a dar forma a una nuova realtà.