I rapporti di dipendenza spiegati da Massimo Recalcati e Mauro Grimoldi
di Lorenzo Cazzulani
La Sala Grande del Teatro Franco Parenti è gremita di gente, gli spalti si riempiono per la maggior parte della loro capacità. L’affluenza risulterebbe abbastanza inconsueta per la semplice presentazione di un libro, se non fosse che i relatori sono Massimo Recalcati, filosofo e psicoanalista, e Mauro Grimoldi, psicologo giuridico. Il pretesto della serata è una discussione intorno al nuovo libro di quest’ultimo, Dieci lezioni sul male. I crimini degli adolescenti (Raffaello Cortina Editore).
Il libro racconta una serie di fatti di cronaca di cui Grimoldi si è occupato direttamente, con protagonisti alcuni adolescenti. La sua professione, infatti, lo porta spesso a confrontarsi direttamente con la psicologia di ragazzi e adulti che, per motivi affascinanti quanto inquietanti, si sono macchiati le mani di un crimine. Egli, come psicologo giuridico, si occupa di fornire ai giudici incaricati del caso un resoconto psicologico del criminale, testando principalmente la loro capacità di intendere e volere nel momento in cui hanno commesso il misfatto.
Durante la presentazione Grimoldi sottolinea quanto sia importante cercare l’umanità del criminale, al fine di comprendere nel modo più generale possibile ciò che lo ha spinto a commettere il reato. Accodandosi a questo fondamentale concetto, Recalcati osserva che è di estrema importanza «irrealizzare il crimine per umanizzare il criminale»; in altre parole: per realizzare una umanizzazione dell’omicida bisogna cercare i motivi umani che lo hanno attivato, non quelli fattuali. La polizia si occupa di ricostruire la successione empirica e oggettiva dei fatti; lo psicologo giuridico si occupa di ricostruire le “cause antropologiche”, cioè il senso e le ragioni intime che il colpevole viveva come propri e che lo hanno spinto ad agire.
Grimoldi racconta anche un lungo fatto di cronaca di particolare interesse, non presente nel libro. In questo avvenimento è mostrata tutta la complessità psicologica di due adolescenti di diciassette anni, in cui emerge fortemente un tema molto attuale: comprendere che l’altro, in quanto “altro da sé” vive anche nel momento in cui la relazione sentimentale viene meno. Uno dei due giovani della coppia, Christian, non riusciva infatti ad accettare che la sua fidanzata, Anna, lo avesse lasciato. La scelta di Anna di troncare il rapporto è una forma di autodeterminazione, di possibilità di esistere anche al di fuori della relazione. La profonda rivendicazione di emancipazione femminile da parte della ragazza non era accettata dal partner, e da qui inizia a serpeggiare nella mente del ragazzo l’idea di un omicidio.
Il fascino del caso presentato risiede nella complessità psicologica di entrambi gli adolescenti, grazie alla quale emerge il malsano rapporto di dipendenza che i due avevano costruito. La tematica è di grandissima attualità, ed è legata a fenomeni quali il femminicidio e il rispetto dell’indipendenza dell’altro da sé. Questa apertura più generale, schiusa dal particolare fatto di cronaca, rimane sullo sfondo per tutta la durata dell’incontro. Il forte applauso finale del pubblico manifesta che gli spettatori hanno perfettamente compreso l’ampia portata morale della presentazione.