Sik-Sik. Ciarlatano a chi?

23 Ottobre 2024

Ciarlatano a chi?
di Federico Demitry

Tutti mentono sapendo di mentire, questi Ciarlatani. Quindi non lo dicono, ma mentono innanzitutto per sé stessi, per portare in scena ogni giorno quel grande classico della commedia che ha un solo spettatore: l’immagine di sé.

Due storie si alternano dividendosi la scena ma non si intrecciano, in questa pièce pensata e disegnata dal madrileno Pedro Remon, resa in italiano da Davide Carnevali: quella di Anna (Blu Yoshimi), attrice di poco successo che si arrabatta con spettacoli per bambini e comparse in fiction di dubbio gusto, aspettando il giorno del meritato riconoscimento artistico; e quella di Guido (Silvio Orlando), regista commerciale, scampato a un incidente aereo, che insegue tardivamente il sogno d’un film finalmente d’autore. A unirle Eusebio Velasco, regista di culto ormai dimenticato, padre di Anna e compagno di studi di Guido. Questo personaggio, attorno a cui ruotano le ossessioni artistiche di uno e dell’altra, è il grande assente in scena. Allo stesso tempo, però, è anche l’immagine simbolica, invisibile e incorporea, il fantasma con cui i due protagonisti si confrontano nel loro prodursi in parole, parole, parole, progetti che naufragano presto e intenzioni abortite. Il dramma in queste vite, una povera e l’altro ricco, è che non si sanno e dunque ciarlano. Sono nascoste «sotto i bla bla bla», per dirla con Paolo Sorrentino.
Insieme a loro, altri, tantissimi ciarlatani minori si alternano in scena. Gli attori a dare vita a tutti i personaggi sono sempre però solo quattro. Insieme ai già citati Orlando e Yoshimi, Francesco Brandi e Francesca Botti, chiamati all’impresa di misurarsi con dei cambi d’abito e di personaggio rapidissimi tra una scena e l’altra.

Lo spettacolo, che ha debuttato per la prima volta al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 2023, si fa apprezzare anche per una scenografia mobile che sostiene l’impostazione narrativa cinematografica: campi e controcampi tra Anna e Guido, tra interni ed esterni. Il tono invece è per lo più leggero, spesso ironico a tratti straniante. Un’alternanza non facile da interpretare per gli attori e per il pubblico, guidata sapientemente da Silvio Orlando. Oltre ad aver voluto quest’opera in Italia, Orlando ce la consegna in una veste sincera ed empatica, che non nasconde la contraddizione e «l’imbarazzo dello stare al mondo», non condanna e non assolve. Alla fine ci chiederemo semplicemente quanto quegli impostori in scena ci assomiglino e quanto invece non sia, anche quell’empatia, anche quello straniamento, l’ennesimo inganno… del teatro… shakespearianamente del mondo.

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