Cose che so essere vere
di Bianca Vittoria Cattaneo
Per la prima volta in Italia lo spettacolo scritto da Andrew Bovell e diretto da Valerio Binasco fa tappa al Teatro Franco Parenti; saluta Milano per qualche giorno e lascia il segno, tanto che avremmo voluto goderne ancora per un po’. Sul palco una famiglia come le altre, di cui lo spettatore osserva le dinamiche interne, le liti e il rivelarsi delle complesse personalità, che si mostrano a partire da Rosie, la figlia minore. In un perfetto cerchio narrativo nella scena di apertura (così come in quella che chiude lo spettacolo) vediamo la piccola di casa impegnata in un monologo. In entrambi i casi a conclusione del discorso, per gestire meglio l’intensità delle emozioni che prova, Rosie presenta un elenco: la lista delle «Cose che so essere vere».
È uno spettacolo che commuove e funziona perché è un preciso specchio della società (ambientato in Australia ma applicabile a migliaia di situazioni in tutto il mondo). In un alternarsi bilanciato tra i personaggi si intrecciano i diversi temi della crisi famigliare, della ricerca di sé stessi, dell’inadeguatezza sociale dovuta alla propria identità o alla situazione economica. I personaggi sono costruiti in modo tale che ogni spettatore, di qualunque età, con qualsiasi formazione e background personale, possa adottare un qualche pezzo, un frammento della storia della famiglia Price, custodirlo, capirlo e condividerlo. È uno spettacolo da consigliare, che davvero conquista tutti.
Di particolare interesse agli occhi di un giovane pubblico risultano principalmente due aspetti: innanzitutto la forza e l’intensità dei caratteri femminili, che dominano la scena per numero e per centralità. La figura materna di Fran è ingombrante, sul palcoscenico e nella vita dei figli, di cui spesso sembra volerne assumere il controllo in un istinto di protezione quasi violento. La drammaturgia di Bovell è esaltata dall’efficacia comunicativa del lavoro di Giuliana De Sio. L’attrice delinea il personaggio trasponendo in una equilibrata sintesi di amore e imperfezione la condizione di una donna che deve convivere con i suoi numerosi difetti: l’incapacità di controllare la rabbia, che spesso sfocia in momenti di aggressione verbale, la difficoltà nel relazionarsi in ugual misura a tutti i figli, il senso di paura di fronte alla posizione sociale femminile, a cui reagisce con estrema fermezza e determinazione. Fran è una donna forte e anche colei che ha il potere di salvare o di indirizzare le sorti di tutti, anche semplicemente per mezzo del suo esempio di vita e di un consiglio: «È l’indipendenza» confida alla figlia Rosie ancora nel mezzo della questione adolescenziale, «la cosa più importante per una donna».
Il secondo interessante aspetto toccato all’interno della pièce è il tema dell’identità di genere, che colpisce inaspettatamente la famiglia Price grazie al personaggio di Mia, la secondogenita. Per Fran e il marito Bob la rivelazione della vera identità della figlia – a cui precedentemente ci si riferisce con il nome Mark – è un colpo troppo forte e porta inevitabilmente a una dolorosa discussione. Quella che all’inizio sembra una situazione senza via di uscita in realtà si rivela come un punto di partenza per un futuro più sereno. Nella situazione di Mia, Rosie è un po’ il simbolo di speranza: è proprio grazie alla sorella minore che ci viene rivelato il suo nome di elezione. Giovanni Drago interpreta questo ruolo in modo delicato e convincente, anche se la scelta di un’attrice o un attore transgender (come è accaduto nelle produzioni americane con attori dichiaratamente non-binary) sarebbe stata una grande occasione per dare visibilità alla comunità queer nell’universo teatrale italiano. Già la presenza del personaggio di Mia è un’opportunità importante per affrontare il tema della transizione, purtroppo non ancora del tutto compreso dal pubblico, che nel momento drammatico di rivelazione dell’identità non empatizza come in altre scene dello spettacolo e si lascia sfuggire qualche risata di troppo, avvertendo ancora uno sfondo comico legato a una tradizione narrativa discriminante delle persone transgender.
La scrittura di Bovell fa breccia nella sensibilità di tutti, in parte anche grazie al suo linguaggio cinematografico. Il suo approccio al teatro è visivo e dà quasi l’impressione di un film che si sviluppa sul palco: a partire dall’importanza sul piano simbolico dell’immagine del roseto come custode dell’integrità familiare fino al dinamico botta e risposta dei dialoghi, efficace per rappresentare la confusione di una grande famiglia. Un nucleo a volte funzionale e a volte no, che opera come un complesso sistema di incastri: un funzionamento meccanico che viene ripreso nella messinscena dall’espediente dello spazio che gira. Una piattaforma rotante ospita le donne e gli uomini della casa e si muove così come si alternano i personaggi sul palco, in una rappresentazione che coinvolge e che fa in qualche modo ruotare anche il pubblico, includendolo all’interno del turbinio della vita che passa.