di Heinrich von Kleist
traduzione Enrico Filippini
adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
scene e costumi Gianmaurizio Fercioni
musica Michele De Marchi
con Rosa Di Lucia
e con Carla Cassola, Clarissa Romani, Federico Odling, Giorgio Groppo, Olivia Czartoryska, Simona Turrini, Wilma Zamboli
collaborazione artistica Maria Grazia Cipriani e Graziano Gregori del Teatro del Carretto
Ma cosa vogliono queste amazzoni? I Greci non capiscono una logica diversa da quella della guerra: attaccare per vincere, attaccare per distruggere.
Donne forti come uomini, guerriere. Pentesilea, la regina, imbattibile. Non cercano la vittoria, quaIcos’altro. Attaccare per amare, non possono amare. La loro legge lo vieta “la parola delle prime madri così decise”. All’origine dello stato delle donne la sopraffazione degli uomini, dalla quale difendersi ripetendo su di sé una violenza, la scissione della parte fragile e vulnerabile. Per essere pari, invulnerabile. Rinunciare alla natura, la rinuncia all’amore nel gesto di Tanai, la fondatrice, che per prima si amputa un seno, per meglio governare l’arco.
“Precipitò il grande arco d’oro del regno, e tintinnò tre volte giù dai gradini di marmo, insieme col rimbombo delle campane, e muto come la morte si posò ai suoi piedi.” Pentesilea assume su di sé questo gesto, interiorizza la legge come dovere, come responsabilità. L’amazzone, la legge: dovere vincere Achille. La natura, il desiderio, la fragilità: essere vinta da Achille, poterlo amare. A Pentesilea “non è concessa la tenera arte delle donne”. Dilania Achille a morsi – “come se fosse il nemico mortale quello che ha sconfitto”- perché non può baciarlo. “Amore, orrore, fa rima”.
II conflitto è in Pentesilea.
E in Kleist. E in noi.” È un enigma ogni cuore che sente”. La solitudine. Protoe, vicina a Pentesilea, testimone. Cerca di capire. “Quanti sentimenti si agitano nel petto delle donne che non sono fatti per la luce del giorno”. Accetta tutto di Pentesilea, come una madre. Senza capire. intransigente, come la legge. Vuole proteggere Pentesilea e ha paura della Pentesilea che c’è in lei. La tensione verso un assoluto che comprenda i diritti naturali della passione, Il lato oscuro, l’Indicibile. Le parole, i sogni.
Ancora Kleist. L’inizio, la parola: “Guardate!” e non c’è niente. La parola che evoca, che dà corpo e anima, che è corpo e anima. La fine, la parola, il pugnale con il quale si uccide. Davvero. Sciogliendosi dalla legge. La vita è contro qualsiasi legge.
Una donna sola tesa verso il raggiungimento
di un impossibile possesso:
(KIeist e la sua ricerca della perfezione letteraria).
Ma l’abisso non si può scalare.
Perseguivo il bene più alto della vita,
già lo stavo afferrando…..
Poi la caduta.
Nella profondità deIl’animo umano.
E lì, nel fondo più fondo di sé, la grandezza.
Sogni, esaltazioni, mancanze, la scoperta di sé:
splendore, orrore. SFIDA. E solitudine.
Assumersi l’intera vicenda dentro di sé per narrarla e
riviverla, per consegnarla a voi convocati in sala.
Due ore esatte di non lieve e facile lavoro, ma la prova è brillantemente superata. Sopratutto nei momenti in cui l’attrice, non chiamata all’urlo, si raccoglie in un trasognato lirismo, in sofferta e umana trepidazione; bravissima nella parte conclusiva, quando si sporca il viso di sangue e poi si pulisce, si bagna i capelli ed è porta, così purificata, a raggiungere l’amato nel regno dei morti.
– Sergio Torresani, Sipario
La messa in scena di Andrée Ruth Shammah nel rispetto totale dell’estremismo del testo Kleistiano, prevede una regia dal ritmo serrato di una vera e propria sfida.
– Livia Grossi, L’Unità