Archivio / Teatro

Utøya

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Utøya

Utøya è il tentativo di fare memoria e denuncia senza fare “teatro civile”, è a pieno titolo una tragedia contemporanea.

Guardare ad essa è come guardare a Medea, a Edipo, a Baccanti, con la sola differenza che quanto qui viene narrato è accaduto davvero. E, forse, potrebbe ancora accadere se non facciamo attenzione a chi siamo, a quale società stiamo contribuendo a costruire, al mondo che vogliamo lasciare in mano ai nostri figli. – Serena Sinigallia

Il 22 luglio 2011 Anders Behring Breivik compie due attentati, al Palazzo del Governo ad Oslo e sullʼisola norvegese di Utøya, dove era in corso un raduno di giovani del Partito Laburista. Perdono rispettivamente la vita 8 e 69 persone, tra cui ragazzi tra i 12 e i 20 anni: una delle vicende più gravi che abbia colpito lʼEuropa. Il testo di Edoardo Erba, scritto con la consulenza di Luca Mariani, autore del libro Il silenzio sugli innocenti, indaga la natura e lʼorigine di questo oblio.

In scena la storia di tre coppie, legate in modo diverso a quanto accadde durante quel giorno terribile e interpretate tutte da Scommegna e Fabbris, marito e moglie, genitori di unʼadolescente obbligata dal padre ad andare al campus; due poliziotti in servizio sulla sponda di fronte allʼisola; fratello e sorella, proprietari di una fattoria che confina con la casa di un “troll”, un individuo sospetto che si scopre poi essere Breivik. Le loro vicende sono il mezzo che permette di scavare a fondo delle ragioni stesse della violenza come manifestazione di disagio, entrando nelle crepe di una società impossibilitata a prevenire questi atti perché incapace di connettere il tessuto sociale.

Edoardo Erba in sorprendente maturità stilistica ci consegna un testo doloroso e incalzante.

Enrico Groppali - giornale.it

Scrivere un testo su quanto è avvenuto a Utøya, in Norvegia, nel 2011 è un’impresa impegnativa. Il Teatro non è il luogo della documentazione e dell’informazione in primis, è la sede di una riflessione. E la riflessione su un avvenimento del genere sconcerta: non è un gesto di follia, ma contemporaneamente lo è. Non è cospirazione politica, ma contemporaneamente la è. Non è un esempio di inefficienza dei sistemi di difesa, e tuttavia lo è. Non è un caso di occultamento dell’informazione, però lo è.
Quando ero un ragazzo e aprivo il giornale avevo una griglia, forse un po’ rozza ma funzionale, per classificare quel che succedeva. Pareva che in tutto il mondo alcune semplici categorie bastassero per inquadrare un avvenimento, e dessero la possibilità alle persone di trovare un modo per reagire. Ma dopo il 1989 il mondo è diventato un posto molto più complicato da interpretare, e dopo il 2001 capire un evento è come entrare in un labirinto.
Ciò che il Teatro, anzi la mia scrittura teatrale, può fare dentro questo labirinto è trovare dei personaggi che lo percorrano e che ce lo restituiscano attraverso il filtro della loro personalità e dei loro rapporti. Così con Arianna, Mattia, Serena e Luca, compagni in questa avventura, abbiamo scelto di tornare là, in Norvegia, quel terribile 22 luglio del 2011, a osservare tre coppie coinvolte in modo diverso in quello che stava accadendo. Attraverso di loro ho spalancato una finestra di riflessione, che se non ci da tutto il filo per uscire da quel labirinto, per lo meno a sprazzi, ne illumina alcune zone oscure con la luce della poesia. – Edoardo Erba

I due attori storici di Atir, Scommegna e Fabris, sono istrionici nei repentini cambi di ruolo che non vengono annunciati né da cambi di scena né da intervalli. Un’interpretazione solida, asciutta e completa che dona compattezza alla pièce, senza risparmiare le sfumature psicologiche dei sei personaggi che si stagliano su uno sfondo nitido di discriminazione.
Laura Timpanaro - Giornale Metropolitano

Tutto è cominciato con un libro, Il silenzio sugli innocenti di Luca Mariani, un giornalista che non si arrende alle prime risposte, che insiste. È il 22 luglio 2011, in Norvegia. Anders Behring Breivik, “il mostro”, scatena l’inferno. Otto morti con un’autobomba a Oslo, un diversivo e poi il vero obbiettivo: 69 ragazzi laburisti uccisi uno a uno nell’isola di Utøya, il ‘paradiso nordico’, sede storica dei campeggi estivi dei giovani socialisti di tutto il mondo. Avevo rimosso quei fatti. Come avevo potuto dimenticare una strage tanto grave e recente avvenuta nel cuore di un’Europa in pace e unita? Perché avevo dimenticato? La risposta non ha tardato ad arrivare. La narrazione restituita dai media era distorta, faziosa e arbitraria: una delle tante tragedie causate da “pazzi” armati, come quelle che succedono spesso in America. Insomma quel genere di fatti per cui scuoti la testa e passi oltre fino a dimenticartene. Niente di più sbagliato. Scoprivo che la strage era stata pianificata per anni, con lucidità e coscienziosità al limite del maniacale, e che non era contro un obbiettivo a caso ma contro il cuore delle giovani “promesse” del socialismo europeo. Era una strage politica. Quando ho finito il libro, ho sentito forte il desiderio che probabilmente ha animato l’autore stesso: bisogna parlare di queste cose, rifletterci, farle risuonare nelle nostre vite che non scrivono la Storia ma la vivono.  – Serena Sinigaglia

L’espediente drammaturgico funziona anche grazie alle notevoli interpretazioni – ma non è una novità – di Arianna Scommegna e Mattia Fabris. […]. Una inquietantissima bolla capace di spiegare molto bene il tema in discussione.
Renzo Francabandera - Hystrio
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