Domani si ricomincia. Sulle tracce di Micio Borletti
di Anna Farina
La direzione artistica del Parenti decide di dedicare un ciclo di serate dedicate alle “dinastie” dell’alta borghesia imprenditoriale che hanno reso grande Milano (si ricorda quella dedicata a Gian Marco Moratti dello scorso Febbraio). Il turno dell’11 Dicembre è quello dei Borletti, nello specifico di Aldo – detto Micio –, storico erede di quella famiglia che non solo fondò La Rinascente, ma fu il nome retrostante a numerose realtà commerciali legate all’industria del prêt-à-porter.
Il progetto è curato dal regista Fabio Cherstich per la drammaturgia di Federica di Rosa; i due affrontano più che egregiamente l’annosa questione della drammatizzazione di una biografia. Per farlo si servono del corposo archivio e del libro autobiografico – Cammino controcorrente (Mondadori, 2014) – dell’ultima Borletti, Ilaria, figlia di Aldo, che si ritrova ad essere il centro nevralgico dello spettacolo. Questo perché è presentata come una sorta di atteso Godot che ha l’ultima voce di giudizio sul prodotto artistico e celebrativo. Ad aspettarla in scena vi sono un’attrice, Annina Pedrini, e la sua assistente, Diletta Ferruzzi, le quali si pongono – in modo classicamente metateatrale – il problema di mettere in scena la vita di Micio.
Tutto comincia dalla morte, che fa da contrappeso alla vita: Aldo, che nel 1966 era stato nominato cavaliere del lavoro, morì improvvisamente a Milano il 26 settembre 1967, a nemmeno sessant’anni, cadendo da cavallo e peggiorando una situazione cerebrale già danneggiata da una cattura dei tedeschi quando era stato partigiano della Resistenza. Da qui ha origine un percorso tra il ricco archivio familiare dei Borletti e il libro di Ilaria, nel tentativo di dare forma tematica alla ricchezza biografica. Ilaria nel suo libro afferma di aver ereditato i lati solari della sua personalità dal padre, mentre quelli complessi e oscuri dalla madre. Quella stessa donna, Bianca, sposata contro i pareri pubblici in seconde nozze, aveva spinto il mecenatismo culturale del marito con la fondazione del centro culturale di Palazzo Durini.
Le immagini d’archivio sono accostate alle parole tramite l’intelligente uso di una lavagna luminosa maneggiata dagli attori, che dà ancora più matericità al racconto. Il ritmo del quale scorre piacevolmente e con i giusti colpi di scena: l’ingresso ritardatario di un “giovane attore”, interpretato da Edoardo Rivoira, si fa simbolo delle nuove generazioni arrivate dopo la decadenza della ricca borghesia milanese, e che si domandano sinceramente come in quel passato fosse così facile avere fiducia nel futuro. È forse proprio questa la chiave secondo la quale si scioglie il lavoro di scrittura e messa in scena. Alla fine, a differenza di Godot, Ilaria Buitoni Borletti arriva per davvero: viene fatta accomodare sul palco, approva commossa quello che ha visto e i performer prendono gli applausi dicendo che «finalmente lo spettacolo può iniziare».