Fratellina: la grazia racchiusa in un armadio.
di Angelica Ferri
Il tempo nel buio del palcoscenico è sospeso, ma un orologio comincia a ticchettare sempre più forte, in un crescendo angoscioso che scandisce i secondi facendoli sembrare interminabili. Quando finalmente la sveglia suona, la scena si irradia di un’alba artificiale che porta luce sulla simmetria della scenografia: due letti a castello delimitano una realtà piccola e scarna in cui il senso di povertà e claustrofobia sembrano essere protagonisti.
Dal letto di sinistra si sollevano le veneziane che garantiscono intimità ai suoi ospiti e si affacciano, come dalle finestre di un condominio di provincia, due uomini di mezza età, Nic e Nac: sdraiati, ognuno nella propria piccola nicchia ma vestiti come se fossero pronti per uscire. Per quasi tutto lo spettacolo, invece, rimarranno lì, protetti dal mondo esterno tra lenzuola e cuscini, ognuno nella sua solitudine ma in compagnia delle parole del vicino.
Con l’avvio del dialogo fra i due protagonisti ha inizio Fratellina, spettacolo scritto da Spiro Scimone, che con tratto delicato dipinge perfettamente una solitudine piena e un affollamento sentimentale desertico, riempiendo il vuoto della contemporaneità attraverso parole nude e semplici. Queste contrapposizioni drammaturgiche sono interpretate dalla regia di Francesco Sframeli attraverso piccoli tocchi tecnici che esaltano gli assurdi dialoghi in stile beckettiano lasciando però al pubblico lo spazio per cogliere le voci flebili di chi è rimasto ultimo, senza un abbraccio e senza una grazia.
Nic e Nac, interpretati proprio da Scipione e Sframeli, vogliono solo dimenticare il loro passato ed essere dimenticati abitando quel posto lontano, escluso da tutto e da tutti, ma, allo stesso tempo, vogliono una seconda possibilità per ricominciare, per ritrovare i colori, per tornare a sognare e per conquistare la libertà di essere e fare quello che desiderano.
Questa realtà abitata dalle aspirazioni surreali dei due protagonisti è composta anche da un secondo letto che fa da contraltare e da specchio in cui poter rivedere e riconoscere i tratti di un’esistenza abbandonata. Fratellino e Sorellina, interpretati rispettivamente da Gianluca Cesale e Giulia Weber, sollevano le veneziane del letto di destra e con genuina armonia avviano un dialogo serrato con i loro vicini al fine di ritrovare, attraverso le parole, il proprio senso d’appartenenza al mondo e quell’umanità degli affetti e della cura ormai spazzata via dalla spietatezza della realtà.
Entra in scena, dunque, quella che sembra essere l’unica soluzione al loro problema: un armadio, l’unico luogo sicuro in cui delle personalità così graziosamente gentili possono esistere in un mondo in cui l’arroganza e la prepotenza sono diventati valori positivi.
Lo spettacolo quindi termina con la fuga dei personaggi all’interno dell’armadio, alla ricerca di un’esistenza in cui le anime possono tornare all’interno di corpi vivi del coraggio di accarezzare e di lasciarsi accarezzare.