Giuseppe Scoditti: chi la dura la vince
di Claudia Maria Baschiera
«C’è gente che ama mille cose», cantava Sergio Endrigo nella sua Io che amo solo te nel 1962. Ma come Endrigo, anche Giuseppe Scoditti ama solo una persona, e questa persona è Paolo Sorrentino; il suo è però un amore misto a un pizzico d’odio, e l’attore lo dimostra in Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa, in scena al Teatro Franco Parenti dal 21 al 26 Maggio 2024.
Scritto da Scoditti e Gabriele Gerets Albanese, quindi interpretato dal primo e diretto dal secondo, il one man show comincia proprio come un film del regista napoletano: delle voci maschili intonano un canto gregoriano nella Sala Blu avvolta nell’ombra, mentre poco a poco una flebile luce inizia a illuminare un uomo incappucciato, coperto da un saio. L’uomo si dirige verso il centro del palcoscenico con una valigia in mano e la luce, sempre più forte, rivela finalmente la fisionomia dell’attore, che avvia il suo monologo con un sorriso stampato sul volto. Più che monologo, però, quello del protagonista è un dialogo con l’eterno assente Sorrentino, per il quale tuttavia vengono riservate due poltrone ogni sera, nella speranza che prima o poi faccia la sua comparsa.
L’attore barese esordisce con una lista di tre motivi per cui ammira il regista: banalità, mistero e ladroneria. I film sorrentiniani mostrano, a suo dire, le solite vedute di Roma attraverso tecniche di ripresa di celebri registi del passato, ma è proprio l’unione di questi due elementi a renderli unici e riconoscibili. A questi, si aggiunge l’alone di mistero intorno alla figura del napoletano, carismatico e irraggiungibile.
La storia d’amore-odio nacque con una delusione: un provino per The Young Pope (unica serie di Sorrentino, ndr) andato male negli studi della Indigo Film. Troppo teatrale, gli dissero. E così, se il ruolo di Uomo 2 finì a un altro, a Scoditti rimase la voglia di fare un film con il regista.
Lo spettacolo, un’ora e quindici di monologo, è un’unione di vari linguaggi: stand up-comedy, canto, performance, prodotti audiovisivi e finti provini si mescolano in un cocktail volto a celebrare e al tempo stesso parodiare una delle figure più importanti del cinema contemporaneo, non solo italiano. Scoditti riempie l’intero spazio scenico con le sue movenze, un po’ goffe e un po’ giocose, mentre resta fermo un unico oggetto. La valigia, rimasta a lungo in un angolo del palcoscenico, passa dall’essere un MacGuffin di tarantiniana memoria all’essere il contenitore del motivo del titolo. Una sceneggiatura. È questa la cosa che Scoditti deve dire a Sorrentino: l’intera messinscena è un lungo pitch ripetuto ogni sera, la proposta di un film scritto dal barese e diretto dal napoletano. Il soggetto è proprio la vita di Sergio Endrigo e l’attore ha già pronta qualche scena, prontamente mostrata al pubblico in sala.
Arriviamo alla fine: Scoditti (a suo dire, perfetto per interpretare il cantante) canta Io che amo solo te e si accendono le luci. L’attore scende dal palco, scruta gli spettatori alla ricerca del suo mito, ma Sorrentino non c’è, neppure questa volta. Non importa, ci riproverà ancora domani.