a cura di Mattia Rizzi
Sullo sfondo del palco si staglia un’architettura le cui forme ricordano le geometrie sconnesse dei quadri di Escher. È la casa in cui madame Rosa, prostituta ebrea sopravvissuta ai campi di sterminio, si prende cura dei bambini delle colleghe più giovani. Silvio Orlando, in scena al Teatro Franco Parenti con La vita davanti a sé (28 gennaio – 6 febbraio), racconta la storia di Momò, uno dei tanti «figli di puttana» che vivono nell’appartamento della vecchia appesantita dagli anni e dai chili.
Ogni mattina Momò controlla che madame Rosa respiri ancora: sì, perché in questa strana relazione che si instaura tra i due è normale che sia un bambino a prendersi cura di un adulto. E se sulla lunga strada della vita si collocano l’uno all’inizio e l’altra alla fine, entrambi sono tenuti insieme da un filo rosso che ci accomuna tutti: la ricerca dell’amore. E infatti la massima con cui Momò si congeda, chiave di lettura dell’intera pièce, è inequivocabile: «Bisogna volere bene».
E Momò di bene a madame Rosa ne ha sempre voluto tanto, assistendola durante i giorni di debolezza e accompagnandola fino alla sua dipartita. Sarà un atto di estrema pietas a sigillare il loro ultimo momento insieme: la donna, trasferita dal sesto piano dell’appartamento fino alla cantina del palazzo, «il suo cantuccio ebreo», potrà trovare la pace in quel luogo in cui andava a nascondersi quando aveva paura.
Silvio Orlando ci regala un’interpretazione eccezionale di un bambino disilluso e ironico, che è arabo ma parla in napoletano, e descrive le difficoltà di un dopoguerra fatto di miserie e di tare con cui bisogna ancora fare i conti. Accompagnato da un quartetto di musicisti sullo sfondo, l’attore mette in scena volti e voci di personaggi che si moltiplicano in un dramma dolceamaro in cui il riso si alterna alla commozione.